Chomsky interviene sulla tragedia di Gaza

אלוהים יודעsono sempre stata sionista. Ma è altrettanto innegabile il mio rigetto per quella riproduzione della sindrome che trasforma le vittime d’un tempo e d’una “causa”, nei carnefici della nuova causa che creano e grazie alla connivenza, poi, dei carnefici di un tempo (perché chi sa e tace non è meno colpevole di chi impugna il coltello di tortura), nel nome del senso di colpa, in un’incapacità cronica collettiva di immaginare un mondo più equilibrato, che riproduce, necessariamente, squilibrio.

In questi giorni è uno stillicidio di e-mail e petizioni da sottoscrivere. Piena di dubbi firmo, perché mentre il mio Paese (quello in cui si vota senza sapere che accidente di politica estera abbia intenzione di applicare un partito, semplicemente perché non c’è un partito che abbia uno straccio di linea su questa o quella questione) non fa e non decide su niente (se non sui 990.000 euro da spendere per i viaggi degli EX-deputati, per compattarsi saldamente sul SI’, fatto salvo uno sparuto spicchio del M5S) e anche quel niente lo rimanda al 2018, mentre il muro di gomma di Israele (laddove un capo di Stato addirittura diserta i tavoli di negoziazione), dimostra come imperi l’assenza di buon senso ad ogni coordinata, non c’è un rigo del buon senso che fluisce nella mia casella e-mail che non meriterebbe la pole-position in questo blog. Ma Chomski è ebreo ed ha buon senso: una “combine” che va sottolineata. Molti gli ebrei dissidenti cui ci si è affiancati in queste ore, su tutti l’appello Appello di Haim Bresheeth per indurre i nostri colleghi accademici in Israele a sostenerne i boicottaggi

L’incubo di Gaza
4 agosto 2014
Noam Chomsky

Lo scopo di tutti gli orrori a cui stiamo assistendo durante l’ultima offensiva israeliana contro Gaza è semplice: tornare alla normalità. Continua a leggere

La rimonta delle spese militari… nella crisi… per la crisi

Ho spesso denunciato la dipendenza dell’Africa nel quadro della gestione della sicurezza globale orchestrata dagli Stati Uniti, con l’ “operazione Africom“, ma, dopo l’affaire degli F-35, da più parti rivelatasi un’operazione economica fallimentare (Presadiretta al link), pure quanto segue ci è stato sottaciuto.

Della nostra dipendenza non si parla mai abbastanza.

lunedì 15 aprile 2013 23:17 (da Globalist.it)

L’Italia in crisi non rinuncia al drone killer

Dev’essere il fascino del mostro. Ne abbiamo scritto la scorsa settimana ricevendo richieste di altre informazioni. Aggiornamento sui Droni assassini. [Ennio Remondino] Continua a leggere

Extraordinary renditions, again… assolti i pezzi grossi: ma Kassim?

Riporto una notizia come è apparsa su il Corriere della sera online e di seguito come è apparsa su Lettera 43 (accedendo direttamente alla pagina accedete anche ai link a notizie correlate che rendono possibile, a differenza della maggior parte delle testate nazionali finanziate dal Governo, di ricostruire il percorso storico della vicenda)

La decisione del Quirinale

Napolitano grazia Joseph Romano , il colonnello Usa che rapì  Abu Omar

Nel 2005 partecipò al sequestro dell’imam di Milano (questa la notizia ufficiale… ma non fu nel 2003? I soliti giornalai improvvisati, e poi date torto a Grillo!)
Un atto che premia la nuova linea di Obama sulla sicurezza

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha concesso la grazia al colonnello dell’Air Force Usa Joseph Romano, in relazione alla condanna a cinque anni inflitta con sentenza della Corte d’Appello di Milano del 15 dicembre 2010, divenuta irrevocabile il 19 settembre 2012 , nell’ambito del rapimento dell’imam egiziano Abu Omar nel 2003; l’estremista islamico che era stato prelevato illegalmente e poi portato nel suo Paese, dove sarebbe stato sottoposto a torture e sevizie. Romano era stato condannato insieme ad altri 22 militari americani, ma nessuno di loro ha mai scontato effettivamente la pena, perché in contumacia. Continua a leggere

Sparita da qui, ma produttiva altrove…

Sono saltuaria, decisamente, ma se guardate in Eventi in preparazione, aggiornato ora, non me ne sono stata con le mani in mano. Oltre che ad aver ripreso l’insegnamento – il mio corso di Storia e Istituzioni dell’Africa è iniziato a Gennaio – sto cercando di “contribuire con un mio verso” (come direbbe il vecchio Walt) su altri fronti, per contribuire ad una bracciata più fluida nel nuotare in questo marasma, che, al solito, ben agisce soprattutto sul fronte delle “informazioni mancate”.

E’ nata una nuova associazione di studi africanistici ASAI – “Associazione per gli studi africani in Italia” e, quale parte del direttivo (con funzione di Segretario) l’ho dotata di apposito sito. Africanisti UNIAMOCI! Continua a leggere

«Maledetta primavera» di Fulvio Grimaldi (data?)

Guardate il video  “MALEDETTA PRIMAVERA” di Fulvio Grimaldi!

Questa ottima sintesi è stata segnalata alla lista “Università in lotta” cui sono iscritta, da uno studente comunista. Nel piattume generale mi riempie di orgoglio che dall’istituzione cui appartengo siano gli studenti a proporre qualche buco della serratura da cui guardare in diversa prospettiva alle “verità” spacciate in questo Paese (e dall’informazione in generale). Mi sento di raccomandarne vivamente la visione e l’ascolto. Certo, è indubbio vi siano imprecisioni (quella senussita è una confraternita, ad esempio e non una tribù) e non so quanto sia voluta la trascuratezza circa le manovre “panafricaniste” di Gheddafi che sicuramente hanno offerto alternative ed escluso il dollaro, ma hanno addirittura innescato la nascita di organizzazioni regionali parallele (ce ne fosse bisogno… guardate l’efficace immagine che ho tratto da Wikipedia, per farvene un’idea) se non addirittura contrarie all’Unione Africana di cui, pure, il Colonnello è stato uno dei principali fautori.

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La guerra finisce (ma finisce davvero) solo quando, almeno in parte, i conti tornano…

e i conti non tornano. Interessanti due articoli che Francesco Correale & Friends – rispettivamente da Voltaire.net e African arguments –  han fatto girare in una provvidenziale mailing list. Sia chiaro che in nulla deve cambiare l’atteggiamento nei confronti della popolazione libica, ma molto accorti dobbiamo essere nei confronti di quelli coi quali ci andiamo a relazionare.

Fonte : “Come al-Qaida è arrivata al potere a Tripoli”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 7 settembre 2011, www.voltairenet.org/a171330

Come al-Qaida è arrivata al potere a Tripoli

di    Thierry Meyssan

Rete Voltaire ha ricevuto molte lettere da lettori che chiedono di al-Qaida in Libia. Al fine di rispondere, Thierry Meyssan ha riunito i principali elementi noti di questo dossier. Questi fatti confermano la sua analisi, sviluppata dall’11 settembre 2001, che al-Qaida sia composta da mercenari utilizzati dagli Stati Uniti per combattere in Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Kosovo, Iraq e ora in Libia, Siria e Yemen.

Rete Voltaire | Beirut (Libano) | 7 settembre 2011

[Foto omissis] Il leader storico di al-Qaida in Libia, Abdelhakim Belhadj, è divenuto il governatore militare della Tripoli “liberata” ed è il responsabile dell’organizzazione dell’esercito della “nuova Libia”.

Negli anni ’80, la CIA ha incoraggiato Awatha al-Zuwawi a creare una fucina in Libia per reclutare mercenari e inviarli nella jihad contro i sovietici, in Afghanistan. Dal 1986 le reclute libiche vengono addestrate nel campo di Salman al-Farsi (in Pakistan), sotto l’autorità del miliardario anti-comunista Usama bin Ladin.

Quando bin Ladin si trasferì in Sudan, i jihadisti libici lo seguirono. Furono raggruppati in un loro compound. Dal 1994, Usama bin Ladin inviò dei jihadisti libici nel loro paese, a uccidere Muammar Gheddafi e a rovesciare la Jamahiriya popolare socialista.

Il 18 ottobre 1995, il gruppo si struttura sotto il nome di Gruppo Islamico Combattente in Libia (LIFG). Nei tre anni successivi, il LIFG ha cercato per quattro volte di assassinare Muammar Gheddafi e di stabilire la guerriglia nelle montagne del sud. A seguito di tali operazioni, l’esercito libico, sotto il comando del generale Abdel Fattah Younis, condusse una campagna per sradicare la guerriglia, e la giustizia libica lanciò un mandato di arresto contro Usama bin Ladin, diffuso dal 1998 dall’Interpol.

Secondo l’agente del controspionaggio del Regno Unito David Shayler, lo sviluppo del LIFG e il primo tentativo di assassinio di Gheddafi da parte di al-Qaida, furono finanziate con la somma di 100.000 sterline dall’MI6 britannico [1]. All’epoca, la Libia era l’unico stato al mondo a ricercare Usama bin Ladin, che ancora disponeva ufficialmente del sostegno politico degli Stati Uniti, anche se aveva contestato l’operazione “Desert Storm”.

Sotto la pressione di Tripoli, Hassan al-Turabi espulse i jihadisti libici dal Sudan. Spostarono le loro infrastrutture in Afghanistan, insediandosi nel campo di Shahid Shaykh Abu Yahya (appena a nord di Kabul). Tale installazione durerà fino all’estate del 2001, quando i negoziati a Berlino tra Stati Uniti ed i taliban, per il gasdotto transafgano, fallirono. A quel tempo, il mullah Omar, che si stava preparando all’invasione anglo-sassone, chiese che il campo venisse posto sotto il suo controllo diretto.

Il 6 ottobre 2001 il LIFG è nella lista stilata dal Comitato di applicazione della risoluzione 1267 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. C’è tuttora. L’8 dicembre 2004, il LIFG era nella lista delle organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. C’è ancora. Il 10 Ottobre 2005, il Dipartimento degli Interni britannico interdiva il LIFG dal suo territorio. Questa misura è ancora valida. Il 7 Febbraio 2006, le Nazioni Unite sanzionavano cinque membri del LIFG e quattro società ad essa collegate, che continuano ad operare impunemente nel territorio del Regno Unito, sotto la protezione dell’MI6.

Durante la “guerra contro il terrore”, il movimento jihadista si organizza. Il termine “al-Qaida”, che originariamente indicava il grande database in cui Usama bin Ladin sceglieva i mercenari di cui aveva bisogno per missioni specifiche, diventa gradualmente un piccolo gruppo. Le sue dimensioni diminuiscono, a mano a mano che viene strutturato.

Il 6 marzo 2004, il nuovo leader del LIFG, Abdelhakim Belhadj, che ha combattuto in Afghanistan al fianco di Usama bin Ladin [2] e in Iraq, vien arrestato in Malesia e poi trasferito in una prigione segreta della CIA, in Thailandia, dove è sottoposto al siero della verità e alla tortura. A seguito di un accordo tra gli Stati Uniti e la Libia, venne rispedito in Libia dove fu torturato da agenti inglesi, ma questa volta nella prigione di Abu Salim.

Il 26 giugno 2005, le agenzie di intelligence occidentali organizzano a Londra una riunione dei dissidenti libici. Formano la “Conferenza nazionale dell’opposizione libica” unendo tre fazioni islamiche: la Fratellanza mussulmana, la Confraternita dei Senoussi e il LIFG. Il loro manifesto fissa tre obiettivi:
- rovesciare Muammar Gheddafi;
- esercitare il potere per un anno (sotto la denominazione “Consiglio nazionale di transizione”);
- ripristinare la monarchia costituzionale nella sua forma del 1951 e rendere l’Islam la religione di Stato.

Nel luglio 2005, Abu al-Laith al-Liby riesce, contro ogni probabilità, a fuggire dal carcere di massima sicurezza di Bagram (Afghanistan) e a divenire uno dei leader di al-Qaida. Chiama i jihadisti del LIFG che non hanno ancora raggiunto al-Qaida in Iraq. I libici diventano la maggioranza dei kamikaze di al-Qaida in Iraq [3]. Nel febbraio 2007, al-Liby condusse un attacco spettacolare contro la base di Bagram, mentre il vicepresidente Dick Cheney si appresta a visitarla. Nel novembre 2007, Ayman al-Zawahiri e Abu al-Laith al-Liby annunciano la fusione del LIFG con al-Qaida.

Abu al-Laith al-Liby divenne il vice di Ayman al-Zawahiri, e a tal titolo il numero 2 di al-Qaida, in quanto non si avevano notizie di Usama bin Ladin. Fu ucciso da un drone della CIA in Waziristan, alla fine del gennaio 2008. Durante il periodo 2008-2010, Saif al-Islam Gheddafi negoziò una tregua tra i libici e il LIFG. Pubblicò un lungo documento, ’Gli studi riparatori’, in cui ammette di aver commesso un errore nel fare appello alla jihad contro i fratelli musulmani, in un paese musulmano. In tre ondate, tutti i membri di al-Qaida sono graziati e rilasciati alla sola condizione che rinuncino per iscritto alla violenza. Su 1800 jihadisti, oltre un centinaio rifiutano l’accordo e preferiscono rimanere in carcere.

Dopo il suo rilascio, Abdelhakim Belhadj lascia la Libia e si trasferisce in Qatar.

Nei primi mesi del 2011, il principe Bandar Bin Sultan intraprende una serie di viaggi per rilanciare al-Qaida espandendone il reclutamento, fino ad ora quasi esclusivamente tra gli arabi, ai musulmani dell’Asia centrale e del sud-est. Uffici di reclutamento vengono aperti in Malesia [4]. Il miglior risultato si ottiene a Mazar-i-Sharif, dove più di 1.500 afgani vengono impegnati nella jihad in Libia, Siria e Yemen [5]. In poche settimane, al-Qaida, che era solo un piccolo gruppo moribondo, può allineare più di 10.000 uomini. Questo reclutamento è ancora più facile, poiché i jihadisti sono i mercenari più economici sul mercato.

Il 17 Febbraio 2011, la “Conferenza Nazionale dell’opposizione libica” organizza il “giorno della collera” a Bengasi, che segna l’inizio della guerra.

Il 23 febbraio l’Imam Abdelkarim al-Hasadi annuncia la creazione di un emirato islamico a Derna, la città più fondamentalista della Libia, da cui proviene la maggior parte dei kamikaze jihadisti di al-Qaida in Iraq.  Al-Hasadi è un membro di lunga data del LIFG, ed è stato torturato dagli statunitensi a Guantanamo [6]. Il burqa è obbligatorio e le punizioni corporali vengono ripristinate. L’emiro al-Hasidi organizza un proprio esercito, che nasce con alcune decine di jihadisti e che presto ne raggruppa più di mille.

Il Generale Carter Ham, comandante di Africom, incaricato di coordinare le operazioni alleate in Libia, ha espresso le sue preoccupazioni per la presenza tra i ribelli, che gli viene chiesto di difendere, di jihadisti di al-Qaida che hanno ucciso soldati statunitensi in Afghanistan e in Iraq. Fu sollevato dalla sua missione, che venne affidata alla NATO.

In tutta la Cirenaica “liberata”, gli uomini di al-Qaida diffondono il terrore, massacrano e torturano. Sono specializzati nel tagliare la gola ai gheddafisti, a cavare occhi e tagliare i seni delle donne impudiche. L’avvocato della Jamahiriya, Marcel Ceccaldi, accusa la NATO di “complicità in crimini di guerra”.

Il 1° maggio 2011, Barack Obama annuncia che ad Abbottabad (Pakistan), sei commando dei Navy Seal hanno eliminato Usama bin Ladin, di cui si era senza notizie credibili da quasi 10 anni. Questo annuncio permette di chiudere il dossier al-Qaida e di rinnovare il look dei jihadisti quali nuovi alleati degli Stati Uniti, come ai bei vecchi tempi delle guerre in Afghanistan, Bosnia, Cecenia e Kosovo [7]. Il 6 agosto, tutti i sei membri del commando dei Navy Seal muoiono nella caduta del loro elicottero.

Abdelhakim Belhadj torna nel suo paese su un aereo militare del Qatar, all’inizio dell’intervento della NATO. Ha preso il comando degli uomini di al-Qaida nelle montagne del Jebel Nefusa. Secondo il figlio del generale Abdel Fattah Younis, è lui che ha sponsorizzando l’omicidio, il 28 luglio 2011, del suo vecchio nemico, che era diventato il capo militare del Consiglio di Transizione Nazionale. Dopo la caduta di Tripoli, Abdelhakim Belhadj apre le porte del carcere di Abu Salim, rilasciando gli ultimi jihadisti di al-Qaida che vi erano detenuti. Viene nominato governatore militare di Tripoli. Pretende le scuse dalla CIA e dall’MI6 per il trattamento che gli hanno inflitto in passato [8]. Il Consiglio nazionale di transizione l’incarica di addestrare l’esercito della nuova Libia.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

[2] «Libya’s Powerful Islamist Leader», Babak Dehghanpisheh, The Daily Beast, 2 settembre 2011.

[3] «Ennemis de l’OTAN en Irak et en Afghanistan, alliés en Libye», Webster G. Tarpley, Réseau Voltaire, 21 maggio 2011.

[4] “La Contro-rivoluzione in Medio Oriente“, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 11 maggio 2011.

[5] «CIA recruits 1,500 from Mazar-e-Sharif to fight in Libya», Azhar Masood, The Nation (Pakistan), 31 agosto, 2011.

[6] «Noi ribelli, islamici e tolleranti», reportage di Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore, 22 marzo 2011.

[7] “Riflessioni sull’annuncio ufficiale della morte di Osama bin Laden“, Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 4 maggio 2011.

[8] «Libyan commander demands apology over MI6 and CIA plot», Martin Chulov, Nick Hopkins e Richard Norton-Taylor, The Guardian, 4 settembre 2011.

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Fonte: http://africanarguments.org/2011/09/08/%E2%80%98whether-you-liked-him-or-not-gadaffi-used-to-fix-a-lot-of-holes%E2%80%99-tuareg-insurgencies-in-mali-and-niger-and-the-war-in-libya-%E2%80%93-by-frederic-deycard-and-yvan-guichaoua/

‘Whether you liked him or not, Gadaffi used to fix a lot of holes’ – Tuareg insurgencies in Mali and Niger and the war in Libya –

By Frédéric Deycard and Yvan Guichaoua

September 8, 2011

In the early days following the rise of the insurgency in Libya, it was widely reported that Col. Gaddafi was making an extensive use of foreign mercenaries to defend his regime. Tuaregs from Mali and Niger, and, more specifically, ex-rebels, featured prominently among those suspected to enlist behind the Guide of the Libyan Revolution. Clearly, sensationalising Col. Gaddafi’s recourse to mercenaries was part of the insurgents’ propaganda aiming at denying him any support among nationals. No reliable estimates of the size of Gaddafi’s mercenary troops have been circulated yet their use is acknowledged. That Tuaregs from Mali and Niger were among them is also true. In early March this year, elected representatives from northern Mali alarmingly reported that youths from their community were joining Gaddafi’s forces. At the same time, Aïr-Info, the well-informed newspaper based in Agadez,  Niger, signalled that potential young recruits were offered €400, a gun and ammunitions to join the front. As researchers studying the region for several years, we also gathered anecdotal evidence through personal ties confirming the above statements. However, reports diverge on whether recruitment was primarily organised from the top or resulted from spontaneous initiatives from below among well-connected would-be combatants.

Evidence on the magnitude of pro-Gaddafi’s mobilisation in Mali and Niger is uncertain. Several sources indicate that roughly 1,500 Tuareg fighters from these two countries have taken an active part in the six-month conflict. But most of them were actually already in Libya for several years when the rebellion kicked-off, whether being immigrants attracted by the economic perspectives of the oil-rich country or former rebels of Niger and Mali who had chosen to reside permanently in Libya after the failure of the implementation of the peace agreements in their country of origin. Those combatants had obtained rights to live and work in Libya and other privileges in the recent years. Hence, one important view we disagree with is that of Malian and Nigerien Tuareg recruits conforming to the archetypical image of ruthless mercenaries, whose loyalty is solely dependent on the immediate material rewards they extract. The profiles and behavioural logics of those among the Malian and Nigerien Tuaregs who supported Gaddafi’s counterinsurgency effort illustrate more the centrality of Gaddafi’s well-entrenched role in the political economy of the region than the alleged greed of its armed supporters. As a Nigerien ex-rebel pragmatically put to us in a recent interview: ‘Whether you liked him or not, Gaddafi used to fix a lot of holes’. And Tuaregs were not the sole beneficiaries. Here are some of those holes Gaddafi’s fixed since his coup, in 1969.

As soon as the early 1970s, severe droughts coupled with political marginalisation have affected the already scarce resources available for the Tuaregs of Northern Mali and Niger, forcing them into exile. Algeria and Libya, in part due to the presence of Tuareg populations on their soil, have become a destination of preference for this generation of youths in quest of employment.  Taking the route to Libya has never since ceased to be a defining moment in the life of the so-called ishumar (derived from the French ‘chômeurs’, the unemployed). Some of them have developed activities on both sides of the border, whether for seasonal employment or for informal, and sometimes illegal, trafficking (cigarettes, gas, and material goods among others). Those economic opportunities have permitted Northern Mali and Niger to survive difficulties through the financial and material flux allowed by the Libyan leader.

This intense cross-border activity had a strategic dimension, too. In the 1980s, as Gaddafi’s pan-Arab then pan-African projects expanded, his Islamic Legion trained militarily and sent hundreds of ishumar to various theaters of ‘anti-imperial’ struggle (mainly in Lebanon, then Chad). The expectation at the time in the ishumar ranks was that their newly acquired military credentials and Libyan support would help them start their own war of independence in Mali and Niger. But Gaddafi did not deliver the expected assistance. Poorly-equipped Tuareg rebellions were launched nonetheless in Mali and Niger in the early 1990s. Their vanguard was composed of fighters exiled in Libya who deserted the camps where they were kept on check. Low-intensity violence lasted almost a decade until Algeria and Libya intervened as peace-brokers. As the implementation of peace accords were dragging, Libyan authorities took critical measures to prevent the conflict from resuming. In Niger, they became a major sponsor of the UNDP-operated Programme of Peace Consolidation in the Aïr and the Azawak (PCPAA), designed to accommodate economically the low-level combatants of the rebellion. In 2005, in a move typically illustrating the patronage system locally established by Gaddafi, those among the rebels who showed reluctance to participate in the PCPAA were offered Libyan nationality and integration in the Libyan Army.

This only postponed the resumption of rebellion in Niger though: an insurgent movement, called the Mouvement des Nigeriens pour la Justice (MNJ), was launched again in 2007. It only lasted two years, after Gaddafi summoned the rebel leaders in Tripoli and coopted the most opportunistic among them, hence blowing up the fragile cohesion of the rebellion. At the same time, a camp financed by Libya was hastily erected near Agadez that any youth loosely connected to the rebellion could visit to receive $400 in cash: the price of a temporary return to calm that Nigerien authorities were happy not to pay. Unsurprisingly, in the recent months, prominent leaders of the MNJ have been said to activate their rebel networks in Niger to recruit fighters in support of the Guide. The same names, such as Aghali Alambo, now circulate as notables of the overthrown regime seek refuge in Niger.

Throughout the years, the ties between the Tuaregs and Gaddafi have grown stronger in multiple dimensions. Gaddafi’s Libya did play a stabilising political role for Mali and Niger through a series of favours it granted to Tuareg communities as well as central regimes. Gaddafi has been the banker of most political and relief campaign in critical times for those countries. As many Tuaregs now seem exposed to victimisation by supporters of the National Transitional Council (NTC) in Libya, the enlistment of Tuaregs from Mali and Niger into Gaddafi’s army of mercenaries resonates like a tragic bet stemming from the inertia of historical necessities. The losses incurred by those who chose the wrong side of the battelfield might exceed by far the losses incurred by those, in the West or elsewhere in Africa, who, after years of close compromise with the autocrat, swiftly jumped on the anti-Gaddafi’s bandwagon.

Most of the Tuareg combatants have now returned to Mali and Niger. They have most probably helped themselves substantially in the Libyan Army’s arms stockpiles and even managed to divert part of the weapons parachuted by France to help the NTC. The political dynamics this situation will engender in the already complex Saharan political context may be nefarious. Al Qaeda in Maghreb (AQIM) has established durable bases in Northern Mali and may benefit from complicity among criminalised state actors interested in the lucrative business of hostage-taking, as well as the massive cross-border trafficking activities the region has become infamous for. In the same way Gaddafi imposed himself as a munificent patron in the area, AQIM is now buying loyalties among locals, including Tuaregs, which have little to do with fundamentalist activism. At the same time, some Tuareg political leaders have repeatedly called for means to fight terrorism and insecurity in the form of forces placed under decentralised command, which they were denied. While Gaddafi never was a benevolent Samaritan toward the Saharan countries, he occupied a strategic position in the region’s subtle political interactions, a position now left empty at a time of high vulnerability.

By Frédéric Deycard (LAM) and Yvan Guichaoua (University of East Anglia, School of International Development)

Ma’an Li’l Ghad: un aggiornamento da Alisei (17/07/2011)

Nel corso delle recenti missioni dell’Ong Alisei, in collaborazione con il Ministero della Salute e con il Ministero degli Affari Sociali, si sono concordati tutti gli aspetti logistico/organizzativi per accogliere l’equipe dei volontari Alisei e
programmata l’attività di formazione/aggiornamento nel settore ortopedico e di terapia della riabilitazione per il personale sanitario locale e di sostegno all’assistenza sanitaria e psico-sociale a favore delle persone ferite agli
arti.

L’equipe Alisei è già operativa a Bengasi ed è composta da medici e operatori sanitari delle diverse specializzazioni necessarie all’assistenza, trattamento e riabilitazione di feriti di guerra che necessitano protesizzazioni ( chirurgo
ortopedico, pediatra-fisiatra, tecnica protesi, psicologa, gestione farmaci e un fisioterapista ) e sta operando principalmente nel Centro Ortopedico di Bengasi.

L’equipe Alisei conta sull’importante e significativo appoggio logistico ( trasporto e alloggio) delle Autorità locali ed ha ricevuto un forte apprezzamento della sua azione a livello pubblico ,dei mas media e della popolazione di Bengasi .

Alisei ha ricevuto ulteriori richieste di sostegno da parte del Benghazi Center of Infectius Deseas e del Social Affaire
Executive Bureau con particolare attenzione all’aiuto ai giovani amputati e alle persone, tra le quali molti bambini, affetti da AIDS/HIV e anche per questo ci siamo attivati attraverso e in collaborazione con medici dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.

Nel quadro della promozione e gestione dell’azione umanitaria Alisei ha sottoscritto un accordo di collaborazione con Ligurian Port Sistem che prevede un contributo al progetto e un appoggio alle attività logistiche e di spedizione dei materiali ed equipaggiamenti .

Stiamo inoltre organizzando la spedizione di 2 container di materiale sanitario e beni alimentari non deperibili 2 furgoni Iveco e un mezzo mobile per disabili usar /revisionati donazioni rispettivamente delle aziende : Pharmagic, Calabria lavoro e AVIOGEI attraverso una fondazione religiosa islamica.

Siamo in contatto con colleghi a Tunisi e Tataouine per promuovere e appoggiare , nonostante i vincoli dell’Ong, azioni umanitarie anche a favore dei profughi libici in Tunisia … Purtroppo le difficoltà sono molte , mobilitare fondi
sufficienti non è facile e i tempi di reazione dei donatori sono lunghi e incompatibili con i bisogni dei profughi

Alisei, Milano, 17 luglio 2011

Ma’an li-l Ghad (Insieme per il domani) COL TUO AIUTO!!!!

45 Milioni di Euro è solo il calcolo approssimativo di quanto ci costerà (solo a noi italiani) questa guerra. Sono soldi nostri e non prendiamo posizione, siamo sbalestrati: da un lato, un tiranno che ammazza e  commissiona stupri contro la propria gente e, dall’altro, i nostri politici impegnati nel baratto: un voto francese per una candidatura, in cambio di un ingresso in guerra e intanto la gente muore e nessun corridoio umanitario ufficiale veicola medicine e cibo a gente sotto assedio. Noi abbiamo il personale per farlo, i contatti per infilarci “là dentro”, ma ci mancano poche migliaia di Euro per aiutare i feriti e gli assediati….

INDICE:

1. Premessa
1.A. Links

2. ATTO COSTITUTIVO DEL COMITATO ITALO-LIBICO

“INSIEME PER IL DOMANI” / “MA’AN LI-L GHAD” ONLUS

ORGANIZZAZIONE NON LUCRATIVA DI UTILITA’ SOCIALE

2.A_- Allegato: Statuto

1. Premessa:

tempo  fa, qualcuno ipotizzava entusiasta l’opportunità di realizzare una sorta di Piano Marshall per la Libia, condannando i politici incapaci di cogliere l’occasione: sebbene d’accordo sulla cecità dei politici (locali e non: è noto oramai quanto sia poco ben disposta nei confronti delle lentezze e della mancanza di coesione della UE) ebbi a dire che non era il caso di applicare Piani Marshall di sorta alla Libia, tanto più che proprio pochi giorni prima dell’ultima follia del rais, associazioni locali stavano siglando convenzioni di partenariato per una serie di azioni nel campo della formazione dei locali, per una maggiore consapevolezza dei diritti e molti giovani libici si apprestavano a partire proprio per corsi nelle nostre università. Al di là della logica delle dipendenze che innescò l’interpretazione distorta del Piano – della quale paghiamo ancora un alto prezzo -, non avevamo da confrontarci ancora, all’epoca della ventilata ipotesi, col forsennato uso del cosiddetto monopolio della violenza (quello dissennato lo aveva già applicato in passato) da parte di un dittatore contro il suo stesso popolo, né coi folli costi (da fondi pubblici) che ci apprestiamo a sostenere per questa nuova guerra: come mi ha confermato in una sua e-mail David Cenciotti (in quest sito più volte citato), “un’ora di un Typhoon costa 63.000 Euro, quella di un Tornado 28.000. Il Corriere della Sera ha calcolato che, avendo volato 3.500 ore, considerato il costo delle unità navali, il costo dell’operazione si aggiri sui 45 Milioni di Euro. Poiché le stime precedenti non tengono ovviamente in considerazione l’armamento utilizzato, qualora i Tornado sgancino delle bombe, il costo orario andrebbe rivisto al rialzo“.

Ora, vedendo di che cosa io mi stia occupando, delle situazioni quantomeno imbarazzanti, se non violente, che poco si confanno al mio profilo in cui mi son ritrovata per protestare contro i tagli alla ricerca universitaria, ma, soprattutto, in che cosa stia cercando di coinvolgere ciascuno di voi, capirete come questa cifra mi sconvolga e scandalizzi: sebbene il petrolio abbia un prezzo (ma la Germania fu sola nel pretendere l’embargo su quel prodotto della Libia, e naturalmente non ottenne appoggio da UE e ONU), anche politico, dobbiamo cercare di bypassare gli accordi con la Francia, tra affiancamento e saldi in cambio dell’appoggio alla candidatura di Draghi alla Banca Europea e, senza smoccolare in turco (perchè ci distrarrebbe), dobbiamo tentare di concentrarci su iniziative volte a promuovere e realizzare urgenti azioni umanitarie a favore della popolazione libica, vittima del conflitto e  scrivo nella speranza che possano venire  da tutti proposte, idee e qualche azione concreta attraverso le rispettive reti.

Sulla base delle richieste e delle informazioni raccolte attraverso i propri interlocutori e partner locali, con l’Ong Alisei, con la quale collaboro e con altre associazioni e personalità si è promosso il Comitato italo-libico “Ma’an li-l Ghad” Insieme per il Domani ONLUS, che presiedo, al fine di allargare la collaborazione  e il partenariato tra cittadini libici e italiani, rivolti, in particolare  alla realizzazione di una azione umanitaria urgente a sostegno dell’assistenza sanitaria degli ospedali di Bengasi e Misurata.

Siamo impegnati ad allargare e sviluppare tutti gli sforzi possibili per unire le forze per raccogliere i contributi necessari  a sostenere questa azione di solidarietà e aiuto e per passare poi a sensibilizzare la cittadinanza perché atti concreti in riposta agli  appelli di appoggio e solidarietà verso il popolo libico si concretizzino quanto prima.

In piena collaborazione con gli amici libici e italiani stiamo  presentando  il progetto a varie istituzioni pubbliche private e, attraverso Alisei, si stanno mantenendo contatti e relazioni con il Ministero degli Affari Esteri e le Agenzie delle Nazioni Unite.

In questo quadro, il Dr. Bughrara ha realizzato una missione in Libia nella città di Bengasi ed è rientrato il 25 aprile scorso.  I sopralluoghi e gli incontri con le Autorità locali, le direzioni e i medici degli ospedali, i responsabili della  Mezza Luna Rossa, del  porto, ecc. hanno confermato l’urgenza di sostenere gli sforzi in corso per far fronte alla situazione sanitaria e non solo. In particolare,  gli interlocutori incontrati hanno sottolineato importanza e priorità di un contributo per l’assistenza sanitaria attraverso soprattutto l’invio di personale medico e infermieristico oltre a materiale igienico-sanitario e alimentare.

Come vedete dall’allegato Progetto (in calce), questo è diviso in fasi e moduli con relativi costi. Oggi possiamo contare su risorse umane (medici, sia  volontari che cooperanti, disponibili subito ad operare in Libia) e materiali (farmaci e altro che potremo avere in donazione): mancano  quelle  finanziare per  poterle mobilitare e renderle operative in loco e il costo sarebbe molto contenuto.

L’acquisto e spedizione di kit sanitari di emergenza per 10.000 persone con  materiali  ed equipaggiamenti chirurgici per  una copertura di 3 mesi (886,1 kg pari a 3,68 m3) comprensivi  di trasporto, assicurazione, gestione ecc. hanno un costo di 9.988,54 Euro Cif Alessandria  via aerea, anche se sembra che i Porti liguri ci daranno una mano in questo.

I medicinali specifici richiesti dall’ospedale di Misurata (4000,3 Kg  pari a 13,67 m3) hanno un costo di 71.052,99 Euro cif via mare. Ma, comne vedrete (sempre in fondo) ci sono richieste specifiche poco costose ed estremamente urgenti che non richiedono la collezione del kit intero.

L’assistenza sanitaria diretta  con una equipe completa (10 persone) per un mese è di 35.000 Euro. Una equipe essenziale di 5 persone  potrebbe essere impiegata con costi ridotti. Questo aiuto sarebbe di capitale importanza e contribuirebbe a dare un aiuto consistente ai 4 ospedali di Bengasi che si trovano a gestire l’afflusso di feriti, malati e della popolazione evacuata da Misurata dove gli ospedali sono stati bombardati e non sono più agibili.

Richieste di aiuto ci giungono anche dalla Mezza Luna Rossa tunisina per assistere i profughi libici (oltre 8000 persone) che si rivolgono in particolare all’ospedale di Tataouine, in particolare  per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, invio di medicinali, di  autoambulanza, materiali igienici e di conforto, nonché di kit alimentari.

Trasmetto tutti gli allegati relativi al caso al fine di permettervi di indicarmi le persone e le istituzioni sia pubbliche che private, che potrebbero aiutarci. Le Istituzioni internazionali si muovono molto lentamente e prima della realizzazione del canale umanitario ci vorrà del tempo. Abbiamo le persone e i mezzi per bypassare molti degli ostacoli, proprio per la natura italo-libica del comitato, ma anche in attesa che quel canale si apra, a quel punto dovremo essere pronti ad intervenire.

Grazie

I LINK:

progetto

Piano Finanziario LEGATO AL PROGETTO

Richieste specifiche:

A. IDA fornitura 1

B.IDA fornitura 2

C.IDA fornitura 3

D.IDA fornitura 4

La lettera ai sostenitori…ai SOSTENITORI anche 10 Euri fanno la differenza!

2. ATTO COSTITUTIVO DEL COMITATO ITALO-LIBICO

Il giorno 4 del mese di marzo dell’anno 2011, pressola Facoltàdi Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano, in Milano, via Conservatorio n. 7, alle ore 15:00 si sono riuniti:  Cristiana Fiamingo, Ruggero Tozzo, Pietro Berardi, Emilio Cellurale, Aldo Rossi

Detti comparenti, in esecuzione dei precedenti intervenuti accordi, stipulano e convengono quanto segue.

1)       È costituto, ai sensi dell’art. 3, l. 11 agosto 1991, n. 266 e dell’art. 10 d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 il comitato denominato “COMITATO ITALO-LIBICO “INSIEME PER IL DOMANI” – “MA’AN LI-L GHAD”, ONLUS.

2)       Lo scopo del comitato, le modalità della sua attuazione, la durata ed i poteri degli organi del comitato risultano dallo statuto che si allega a questo atto sotto l’Allegato A per formarne parte integrante e sostanziale.

3)       La sede del comitato è posta in Milano, Via Giacomo Leopardi 1, C.a.p. 20123.

4)       Il primo esercizio del comitato si chiuderà il 31 dicembre 2011.

5)       Per quanto non espressamente convenuto i promotori fanno riferimento alle vigenti disposizioni di legge in materia, ed in particolare alla l. 11 agosto 1991, n. 266 ed al d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460.

6)       Spese e tasse del presente atto nonché ogni onere annesso e dipendente, fino ad un importo massimo di euro 3.000,00 (tremila virgola zero zero) sono a carico del costituito comitato.

7)       I promotori nominano:

–          organizzatori Cristiana Fiamingo, Ruggero Tozzo e Piero Berardi;

–          presidente del consiglio organizzativo Cristiana Fiamingo, la quale nomina alla carica di segretarioEmilio Cellurale;

–          tesoriere Aldo Rossi;

–          in qualità di revisori contabili, la società di revisione e organizzazione contabile Roger King S.r.l.

8)       Per quanto occorer possa, i promotori attribuiscono agli organizzatori ed al tesoriere ogni più ampio potere per porre in essere gli atti necessari a rendere il comitato pienamente operativo, ed in particolare a ottenere la registrazione della presente scrittura privata nonché le iscrizioni di cui all’art.6, l.11 agosto 1991, n.266 ed all’art.11, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460.


Allegato A

STATUTO DEL

COMITATO ITALO-LIBICO “INSIEME PER IL DOMANI”- “MA’AN LI-L GHAD” ONLUS

ORGANIZZAZIONE NON LUCRATIVA DI UTILITà SOCIALE

Art. 1)  Costituzione

è costituito, ad esclusivi fini di solidarietà, il comitato sotto la denominazione: “COMITATO ITALO-LIBICO “INSIEME PER IL DOMANI” – “MA’AN LI-L GHAD” ONLUS.

Art. 2)  Sede

Il comitato ha sede legale in Milano, Via Giacomo Leopardi 1 (c.a.p. 20123). Il consiglio organizzativo potrà istituire sedi operative del comitato nella Repubblica Italiana, in paesi dell’Unione Europea e in Libia.

Art. 3)  Scopi

Il comitato è apolitico, apartitico e laico, non ha finalità di lucro. Il comitato persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale, ed è proibita la distribuzione, anche in modo indiretto, degli utili eventualmente derivanti dalle attività del comitato. Eventuali utili od avanzi di gestione saranno impiegati per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse.

Il comitato fa propri i principi della cooperazione internazionale e dell’aiuto umanitario di imparzialità, indipendenza ed autonomia.

Il comitato si propone di promuovere la raccolta di fondi destinati al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

a)       avviare un rapporto di partenariato tra organismi, enti ed associazioni italiane e libiche (e degli altri Paesi del Mediterraneo) nei campi della cooperazione internazionale, dell’aiuto umanitario e della solidarietà, nonché per promuovere comuni programmi culturali, educativi e di formazione;

b)      promuovere progetti di cooperazione nei settori socio – sanitario, agricolo e di capacity building centrati sul trasferimento reciproco di conoscenze, esperienze e know how volti a favorire lo scambio interculturale tra la popolazione italiana e libica e l’assistenza alle fasce della popolazione più svantaggiate e vulnerabili;

c)       Promuovere progetti di educazione allo sviluppo, sensibilizzazione e comunicazione sulle azioni realizzate favorendo la reciproca conoscenza tra società civile italiana e libica e più in generale dei Paesi del Mediterraneo.

Il comitato potrà dunque svolgere la propria attività nei settori dell’assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria, della beneficienza, dell’istruzione e della formazione, della promozione della cultura e dell’arte e della tutela dei diritti civili, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460.

Il comitato per raggiungere i suoi obiettivi cofinanzierà programmi di cooperazione individuati in accordo con e realizzati da Alisei Ong (insieme ai suoi partners), organizzazione non governativa italiana riconosciuta idonea dal Ministero degli Affari Esteri italiano e attiva in Libia da Gennaio 2011 tramite accordi di gemellaggio e collaborazioni con associazioni ed enti della società civile libica.

Il comitato inoltre si avvarrà dei contributi e delle competenze messe a disposizione dai promotori.

Ogni programma individuato potrà ottenere un cofinanziamento in base ai criteri e requisiti di eleggibilità definiti dalle procedure operative del comitato, che faranno riferimento alle linee guida del Ministero degli Affari Esteri italiano – Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo. Le spese sostenute per l’implementazione dei programmi cofinanziati dovranno essere rendicontate al comitato e i rendiconti dovranno essere supportati da un audit realizzato dai revisori nominati dal comitato.

Il comitato svolgerà direttamente le altre attività strumentali che saranno necessarie per il perseguimento dei suoi scopi.

Art. 4)  Fondo comune

Il fondo comune è finalizzato al raggiungimento degli scopi del comitato. Ai sensi dell’art.5, l. 11 agosto 1991, n. 266, esso è costituito da:

a)       oblazioni dei sottoscrittori;

b)      contributi, a qualunque titolo versati, effettuati da soggetti privati;

c)       contributi dello Stato, di Enti o di istituzioni pubbliche finalizzati esclusivamente al sostegno di specifiche e documentate attività o progetti;

d)      contributi di organismi internazionali;

e)       donazioni e lasciti testamentari;

f)        rimborsi derivanti da convenzioni;

g)       entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.

Art. 5)  Sottoscrittori

I sottoscrittori condividono gli scopi del comitato ed effettuano le sottoscrizioni. Essi sono tenuti ad effettuare le oblazioni promesse, ma non sono responsabili per le obbligazioni assunte dal comitato.

Le sottoscrizioni possono avere ad oggetto danaro o beni, e saranno effettuate nelle modalità che gli organizzatori o il tesoriere riterranno di volta in volta più idonee.

I sottoscrittori possono richiedere e ricevere le informazioni di cui all’art. 17.

Art. 6)  Promotori

I promotori sono i componenti del comitato, che si impegnano a promuoverne gli scopi ed a sollecitare le sottoscrizioni.

I promotori sono iscritti all’albo dei promotori, tenuto ai sensi dell’art. 14.

Ai sensi dell’art. 41 del codice civile, i promotori rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte dal comitato.

Sono promotori del comitato, oltre a coloro che hanno stipulato l’atto costitutivo, i soggetti che, condividendo gli scopi del comitato come espressi all’art. 3 del presente statuto, hanno fatto richiesta di ammissione mediante atto scritto al consiglio organizzativo, hanno ricevuto l’approvazione del consiglio organizzativo e sono stati iscritti all’albo dei promotori tenuto ai sensi dell’art. 14.

I promotori cessano dalla loro qualifica a seguito di delibera di esclusione da parte dell’assemblea dei promotori. Tale delibera deve essere assunta con il voto della maggioranza dei promotori. Nel computo della maggioranza necessaria per la delibera di esclusione non si computa il voto del promotore della cui esclusione si decide. I promotori esclusi vengono, a cura del tesoriere, cancellati dall’albo dei promotori.

Art. 7)  Assemblea dei promotori

            L’assemblea dei promotori è un organo che si riunisce su convocazione del presidente del consiglio organizzativo ogniqualvolta sia necessario, ma comunque almeno una volta all’anno per l’approvazione del rendiconto di cui all’art. 14.

L’assemblea dei promotori delibera la nomina degli organizzatori, del presidente e del tesoriere con voto favorevole della maggioranza dei suoi membri.

Ai fini della presenza dei promotori all’assemblea e dell’espressione del voto, è possibile utilizzare il collegamento in audio o video conferenza, a condizione che gli strumenti tecnologici utilizzati consentano la condivisione delle informazioni essenziali alla partecipazione interattiva alla discussione.

Art. 8)  Organizzatori

Gli organizzatori sono nominati dall’assemblea dei promotori, mediante delibera adottata con il voto favorevole della maggioranza dei promotori, e rimangono in carica per tre esercizi.

Gli organizzatori provvedono alla gestione dei fondi raccolti dal comitato, alla loro conservazione ed alla loro destinazione allo scopo annunciato. Per gli atti gestori che eccedano l’ordinaria amministrazione gli organizzatori rimettono la questione al consiglio organizzativo.

Gli organizzatori possono non essere promotori del comitato ed hanno la rappresentanza del comitato.

Gli organizzatori sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunziato.

Gli organizzatori possono essere revocati per giusta causa con delibera dell’assemblea dei promotori adottata con voti favorevoli dei tre quarti dei promotori.

Art. 9)  Consiglio organizzativo

Gli organizzatori costituiscono il consiglio organizzativo. Il consiglio organizzativo delibera collegialmente:

a)       sull’ammissione di nuovi promotori;

b)      sull’istituzione di sedi operative del comitato;

c)       sugli atti di straordinaria amministrazione sottoposti dai singoli amministratori, nonché

d)      sulle questioni di maggior importanza per il comitato.

Le questioni di maggiore importanza per il comitato possono essere sottoposte al consiglio organizzativo dal presidente, anche qualora ne facciano richiesta scritta almeno la metà dei promotori o almeno due organizzatori. Il presidente avvisa della convocazione del consiglio organizzativo anche i membri del collegio dei revisori.

Il consiglio delibera a maggioranza dei suoi membri.

Ai fini della presenza alle adunanze del consiglio organizzativo e dell’espressione del voto, è possibile utilizzare il collegamento in audio o video conferenza, a condizione che gli strumenti tecnologici utilizzati consentano la condivisione delle informazioni essenziali alla partecipazione interattiva alla discussione.

Il consiglio organizzativo redige, al termine di ogni esercizio, una breve relazione sulla gestione da allegarsi al rendiconto annuale.

Art. 10)            Presidente

            Il presidente del consiglio organizzativo è eletto dall’assemblea dei promotori mediante delibera assunta con il voto favorevole della maggioranza dei suoi membri.

Il presidente rimane in carica tre esercizi, ha il potere di gestione e di organizzazione del comitato e ne ha la rappresentanza legale. Il presidente può compiere atti di straordinaria amministrazione, previo parere non vincolante del comitato organizzativo.

Il presidente può essere revocato dall’assemblea dei promotori per giusta causa, con delibera adottata con il voto favorevole dei tre quarti dei promotori.

Art. 11) Tesoriere

Il tesoriere viene nominato dall’assemblea dei promotori, e può essere da essa revocato per giusta causa con deliberazione assunta con voto favorevole della maggioranza dei promotori.

Il tesoriere è abilitato ad operare autonomamente sui conti correnti bancari e postali del comitato, ed è responsabile della riscossione delle entrate e del pagamento delle spese. Egli è responsabile inoltre della tenuta delle scritture contabili del comitato, e della redazione del rendiconto da sottoporre all’assemblea dei promotori ai sensi dell’art. 14.

Il tesoriere ha la rappresentanza legale del comitato.

Art. 12)            Segretario

Il segretario è nominato dal presidente.

Il segretario coordina le attività del comitato, seguendo le direttive impartite dagli organizzatori, e non ha poteri di organizzazione né di rappresentanza.

Il segretario richiede periodicamente informazioni sulla gestione del comitato agli organizzatori, e fornisce ai sottoscrittori le informazioni richieste ai sensi dell’art. 17.

Art. 13)            Esercizio

L’esercizio del comitato ha una durata di dodici mesi: inizia il 1° gennaio e termina il 31 dicembre.

Art. 14)            Scritture contabili e rendiconto annuale

Ai sensi degli artt. 2216 e 2217 del codice civile, il tesoriere tiene ordinatamente scritture contabili cronologiche e sistematiche, atte ad esprimere con compiutezza ed analiticità le operazioni poste in essere in ogni esercizio.

Il tesoriere prepara il rendiconto annuale, in base agli schemi di presentazione stabiliti nelle “Linee guida e schemi per la redazione dei Bilanci di Esercizio degli Enti non profit”, ai principi contabili statuiti in tale documento, integrati dai principi contabili emanati dai Consigli Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri (richiamati dalla Consob nella Comunicazione n. 99088450 del 1° dicembre 1999 e rivisti e aggiornati dall’ OIC – “Organismo Italiano di Contabilità”), nonchè dagli International Financial Reporting Standards adottati dall’Unione Europea. Il rendiconto annuale rappresenta la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del comitato, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali. Entro tre mesi dalla chiusura dell’esercizio il tesoriere presenta la proposta di rendiconto annuale al Consiglio organizzativo che lo finalizza e lo sottopone all’Assemblea entro la fine di Aprile salvo deroghe motivate  decise dal Consiglio.

La convocazione dell’Assemblea deve avvenire almeno 15 giorni prima della riunione per l’approvazione del  rendiconto annuale. Al momento della convocazione verrà inviato ad ogni promotore la bozza di rendiconto annuale corredata del relativo rapporto di revisione contabile.

Il tesoriere cura la tenuta dell’albo dei promotori.

Art. 15)            Revisione contabile

L’assemblea dei promotori nomina, con voto favorevole della metà dei suoi membri, la società di revisione contabile del comitato.

I soggetti chiamati a svolgere il lavoro di revisione contabile devono essere iscritti all’albo dei revisori dei conti, non possono essere promotori né sottoscrittori del comitato.

La società di revisione contabile incaricata:

a)       svolgerà un lavoro di revisione contabile del rendiconto annuale, basato sui principi internazionali di revisione emessi dall’IFAC, esprimendo un giudizio professionale sul fatto che il rendiconto rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del comitato in applicazione dei principi contabili di cui all’art. 14.

 

b)      La società di revisione incontra il Consiglio Direttivo  per illustrare e discutere i risultati del lavoro di revisione prima della convocazione dell’Assemblea per l’approvazione del rendiconto.

 

Art. 16)            Gratuità delle cariche

Tutte le cariche sociali sono gratuite, fatto salvo il diritto al rimborso delle spese sostenute,  debitamente documentate, per l’attività prestata in esecuzione degli obblighi derivanti dal presente statuto.

 

Art. 17)            Informazioni ai sottoscrittori

I sottoscrittori hanno diritto di ricevere annualmente copia del rendiconto, unitamente alla relazione sulla gestione di cui all’art. 9 ed al rapporto di revisione contabile di cui  all’art. 15.

I sottoscrittori possono riferirsi al segretario per formulare richieste di informazioni sullo svolgimento dell’attività del comitato. Le informazioni possono essere trasmesse ai sottoscrittori anche tramite mezzi elettronici.

 

Art. 17)            Modifiche statutarie

Il presente statuto può essere modificato mediante deliberazione dell’assemblea dei promotori adottata con il voto favorevole dei tre quarti dei promotori.

Art. 18)            Scioglimento

Il comitato si scioglie per deliberazione dell’assemblea dei promotori, assunta con il voto favorevole dei tre quarti dei suoi membri. In caso di scioglimento del comitato, il suo patrimonio sarà devoluto agli enti benefici perseguenti finalità ideali operanti in analogo settore determinati dall’assemblea dei promotori nella delibera di scioglimento.

Materiali su Unified Protector Operation – ex-Odyssey dawn (3.3-1.5.2011)

OVVERO, DI COSA SIA UNA NO-FLY-ZONE (NFZ) E DEL PERCHE’ CIO’ CHE SI STA COMMETTENDO NON LE SOMIGLI AFFATTO  (questo rapporto pubblicato il 3 marzo viene costantemente aggiornato)

Libyan no-fly zone: che la vogliate chiamare Operation Ellamy (UK), Operation Odyssey Dawn (US), Opération Harmattan (F), and Operation MOBILE (CAN), mentre aerei spagnoli, finlandesi, danesi, fan ressa per intervenire, è ben legittimo entrare nel merito delle “regole di ingaggio”, seppure sia un ginepraio che implicherebbe capire chi tiri le fila, quale sia la catena di comando: “né USA né NATO”, dicono, non più tardi della sera del 20.03.2011, gli Stati Uniti. Mentre qualcuno si chiede il perchè dell’interesse UK/F nell’intervento (ed è interessante trovare il link all’articolo del Time, in merito, sul sito di Africom)  rispetto alle forti riserve espresse da Lega Araba e Unione Africana circa l’effettivo rispetto del mandato della UNSC Res. 1973, queste operazioni militari sembrano più volte all’allontanamento di  Gheddafi piuttosto che a favorire l’accesso agli aiuti alla popolazione civile (vedi. le riserve su questo blog).

Di seguito, fermo restando affidabile il resoconto delle operazioni militari costantemente aggiornato da David Cenciotti sul suo blog: mappe, dati, links… tutti gli elementi che possano essere utili a fornirci un’idea più chiara di questo big mess e, dopo aver saputo che un Tomahawk costa 756.000 US$ e che l’intera Operazione, al 19.03.2011 costasse già 62 milioni di US$, facciamo pure una botta di conti e pensiamo a quale riscatto mai si voglia puntare.

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DECLINAZIONI ITALIANE…

E rieccoci sulla Quarta Sponda: nel frattempo, il 31 Marzo 2011,  l’operazione ha cambiato nome sotto egida Nato e i militi Italiani hanno declinato a loro modo la loro partecipazione alla UNIFIED PROTECTOR OPERATION sotto egida NATO, senza tener conto delle implicazioni e degli “effetti politici collaterali” che stan mettendo (ulteriormente) in crisi la stabilità di un Governo [26 Aprile 2011] del quale il mio Paese si ostina a non sentirsi ostaggio.

Declinazione italica dell'Op. Unified Protection

... unified?


18°Gruppo Aviazione italiana Mark

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MAPPE
Molte mappe si trovano raccolte in http://benghazipost.blogspot.com/ blog di un COMMAND (?) di cui non è facile comprendere esattamente la matrice (interessante interpretazione di NATO= NO AVAILABLE TACTICAL ORDNANCE)

Op. Unified protection

NoFlyZone

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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AGGIORNAMENTI

Fonte inglese – http://www.mod.uk/DefenceInternet/DefenceNews/MilitaryOperations/LibyaUpdate.htm

[si è scelto di rimuovere le immagini, copyright della coronoa, dioguardi]

Libya update – A Military Operations news article

20 Mar 11

The Chief of the Defence Staff’s Strategic Communications Officer, Major General John Lorimer, briefed the media this morning, Sunday 20 March 2011, on Operation ELLAMY, the UK’s military action in support of United Nations Security Council Resolution (UNSCR) 1973.

Final preparations for the launch of RAF Tornado GR4 aircraft from RAF Marham for the first UK air combat mission in support of UN Security Council Resolution 1973

Background

General Lorimer began the briefing by talking about the background to the operation. He said:

“As the Secretary of State for Defence said last night, the campaign Colonel Gaddafi has been waging against his own people is brutal and wrong; the international community has a duty to stop the violence against the Libyan people.
“The Prime Minister also stated that there is a demonstrable need, strong Arab and African support, and a clear legal basis in the form of a UN resolution for international action to protect the civilian population in Libya. UN Security Council Resolution 1973 laid out very clear conditions that must be met.
“The UK has made it very clear to Colonel Gaddafi that if he did not comply with UN Security Council Resolution 1973, the international community would enforce it through military action.
“The international community called for Colonel Gaddafi to stop his troops from advancing on Benghazi, pull back his troops from Ajdabiya, Misurata and Zawiya, and to re-establish water, electricity and gas supplies to all areas.”

Breach of the Resolution

General Lorimer said that clear intelligence indicated that Colonel Gaddafi breached his self-declared ceasefire and has demonstrably breached UNSCR 1973. He went on:
“Libyan Regime forces continued offensive operations and moved into the outskirts of Benghazi with little regard to the safety of the civil population.
“There is a range of evidence suggesting that Libyan Regime forces continued offensive operations in Misurata on 18 March.
“On the same day, Benghazi was subjected to heavy shelling in the suburbs from pro-Gaddafi forces; tanks have entered from the west.
“There were reports of fighting in the streets and civilians fleeing for the Egyptian border.”
“Last night, British Armed Forces participated in a co-ordinated strike using Tomahawk Land Attack Missiles launched from a Trafalgar Class submarine in the Mediterranean Sea.”

Major General John Lorimer

Coalition operations

Last night, Saturday, saw the start of coalition operations:
“Targets were carefully selected to avoid civilian casualties and to strike at key military installations in Libya as part of a co-ordinated coalition plan to enforce the UN Security Council Resolution and protect Libyan civilians,” General Lorimer said.
“It is too early to say what the impact has been to the situation on the ground or to the Libyan Regime forces.
“Our next steps are to continue to monitor the situation in Libya to ensure that there are no further breaches of the UNSCR, whilst deploying forces for the timely establishment of the UN-mandated no-fly zone and arms embargo.”

The Coalition

Explaining who is involved in the operation General Lorimer said:
“This operation is currently under US command, supported closely by French and UK Armed Forces. AFRICOM [United States African Command] is the supported Combatant Command, and the UK has liaison officers and staff embedded at every level.
“This includes having staff based on the US command ship USS Mount Whitney in the Mediterranean Sea, where the US Joint Task Force Commander [Admiral Sam Locklear] is located.
“The UK’s deployed assets and personnel fall under the operational command of the Chief of Joint Operations, Air Marshal Sir Stuart Peach, who commands the Permanent Joint Headquarters in Northwood.
“On the air side, the UK’s Joint Force Air Component Headquarters is controlling the UK’s contribution to the air operation in conjunction with the coalition. Air Vice-Marshal Greg Bagwell is the UK’s Joint Force Air Component Commander; he is based with his staff at Ramstein with AFRICOM’s Air Component HQ.
“On the maritime side, Rear Admiral Ian Corder, Commander Operations, is controlling the UK’s contribution to maritime operations in conjunction with the coalition. He is based at Northwood.”
RAF Tornado flies alongside an RAF air-to-air refuelling aircraft during overnight operations against targets in Libya

Last night’s operations

General Lorimer said that from 1600hrs GMT on Saturday 19 March 2011, UK, US and French operations commenced against Colonel Gaddafi ‘s Libyan Armed Forces, under the auspices of UNSCR 1973. He continued:
“The UK Armed Forces are operating under the name Operation ELLAMY. This is the UK operational name, other allies may operate under a different operational name; for example, the US have called this Operation ODYSSEY DAWN.
“Last night, British Armed Forces participated in a co-ordinated strike using Tomahawk Land Attack Missiles launched from a Trafalgar Class submarine in the Mediterranean Sea.
“Subsequently Tornado GR4 fast jets from RAF Marham in Norfolk took off and flew to the operational area where they launched Storm Shadow missiles at targets. They then flew back to RAF Marham, arriving back this morning, completing a 3,000-mile [4,800km] round trip. All aircraft arrived back safely.
“Surveillance assets, including UK E3-D Sentry, Sentinel and TriStar and VC10 air-to-air refuelling aircraft, were also deployed in support of the operations.
“Targets were attacked that posed a threat to the enforcement of the UN-endorsed no-fly zone. Key elements of the Libyan integrated air defence system were targeted as a necessary step in shaping for the establishment of the no-fly zone, as part of the co-ordinated coalition plan to enforce the UNSCR and protect Libyan civilians.
“Targeting was and continues to be closely co-ordinated and is consistent with the terms of the UNSCR and international law.
“HMS Westminster remains off the coast of Libya and HMS Cumberland is in the region ready to support operations. Typhoon aircraft have been placed at reduced notice to move and are standing by to enforce the no-fly zone.The Trafalgar Class submarine remains in the area.”

“HMS Westminster remains off the coast of Libya and HMS Cumberland is in the region ready to support operations. Typhoon aircraft have been placed at reduced notice to move and are standing by to enforce the no-fly zone.The Trafalgar Class submarine remains in the area.”Major General John Lorimer

Next steps

General Lorimer said today that the Defence Secretary Dr Liam Fox has confirmed that Britain will be deploying Tornado and Typhoon aircraft to the Italian airbase of Gioia del Colle in the south of the country:
“It makes operational sense to be closer to the no-fly zone and our military assessment confirmed that this is the most suitable forward mounting base for these assets,” the General said. “RAF Akrotiri in Cyprus continues to support the operation under UN Security Council Resolution 1973 with a number of assets, including E3-D Sentry, VC10 and Sentinel.”

British military authorities are discussing with our allies the most effective way of putting the no-fly zone in place. It is likely that this will be part of a NATO-led operation.
The no-fly zone is likely to be in place for however long we are tasked to do this. The UK’s stated aims are to support UNSCR 1973 and the Libyan people.
The UK has a number of assets already in the region which have previously assisted in the evacuation of British nationals from Libya, and others which are ready to provide support as required.
Currently within the region, we have E3-D Sentry aircraft which are keeping us abreast of events in the area, HMS Westminster is off the coast of Benghazi and HMS Cumberland is in the region should she be required.

Deployed to Akrotiri, Cyprus, is a Joint Force Air Component HQ which co-ordinates movements of UK air assets and controls the airspace in operational areas.

The British involvement with operations in Libya currently has no effect on operations in Afghanistan; we are keeping the situation under review.

Operation ELLAMY update – 9 April 2011 – A Military Operations news article

9 Apr 11

Royal Air Force aircraft hit seven main battle tanks on Friday 8 April 2011 as part of the UK’s continued support for NATO’s Operation UNIFIED PROTECTOR to safeguard the lives of Libyan civilians and enforce UN Security Council Resolution 1973.

Tornado GR4Royal Air Force Tornado GR4 operating from Gioia del Colle air base in southern Italy
[Picture: Senior Aircraftman Neil Chapman, Crown Copyright/MOD 2011]

RAF Tornado GR4 aircraft used Brimstone missiles and Paveway IV bombs in the area of Ajdabiya, hitting two tanks, and in the area of Misurata, hitting five tanks.

The weapons were discharged as part of armed air reconnaissance and overwatch patrols conducted over Misurata, Brega and Ajdabiya.

RAF Typhoon aircraft conducted defensive counter air patrols as part of the no-fly zone enforcement. Two RAF VC10 tanker aircraft supported the Tornado, Typhoon and other coalition sorties by providing air-to-air refuelling.

HMS Liverpool has taken over from HMS Cumberland carrying out surveillance and embargo operations alongside HMS Brocklesby. HMS Cumberland will now return to the UK.

19.04.2011

http://www.mod.uk/DefenceInternet/DefenceNews/MilitaryOperations/HmsLiverpoolProtectsLibyasCivilianPopulation.htm

HMS Liverpool protects Libya’s civilian population – A Military Operations news article

19 Apr 11

As part of the UK’s ongoing involvement in Operation ELLAMY, Royal Navy destroyer HMS Liverpool has been working tirelessly to protect Libya’s civilian population under threat of attack from Colonel Gaddafi’s forces.

During the past week the ship ( HMS Liverpool ) has played a key role in Operation Unified Protector as a member of the NATO Task Group.

Alongside RAF counterparts, HMS Liverpool has controlled aircraft of the NATO-led coalition from the sea using her first-class air surveillance technology and has conducted boarding operations as part of the embargo task.

For a period of operations this week, HMS Liverpool controlled coalition aircraft in the western region over Libya.

The ship’s Fighter Controllers worked with coalition F18 fighter jets and tanker support aircraft, as well as Maritime Patrol Aircraft. Liverpool’s support ensured continuous control of the no-fly zone.

Commander Colin Williams, Liverpool’s Commanding Officer, said: “I’m immensely proud of my ship’s company for the way they have dealt with the challenges they have faced so far.

Canadian CF-188 Hornets supporting the NATO-led operation over Libya. HMS Liverpool’s Fighter Controllers worked with coalition F18 fighter jets and tanker support aircraft, as well as Maritime Patrol Aircraft

“HMS Liverpool is protecting the civilian population of Libya through enforcement of the no-fly zone and the maritime embargo, showing the value of maritime forces and the skill of the Royal Navy.”

Tasked with enforcing embargo operations along the Libyan coast, HMS Liverpool has recently intercepted several vessels under UN Security Council Resolution 1973.

In one interception, the ship used its highly trained boarding team to board the roll-on/roll-off (RORO) ferry Setubal Express, which was sailing from Valetta, Malta, toward Tripoli, Libya, with a cargo of vehicles which prompted the suspicion that they could be used by pro-Gaddafi factions.

The team boarded the ship and discovered during the search that the cargo record book contained irregularities. As a result, the Task Force commander instructed the ship not to enter Libyan territorial waters, but to redirect to the next port of call at Salerno, Italy.

Article

UK military liaison advisory team to be sent to Libya – A Defence Policy and Business news article

19 Apr 11

The Foreign Secretary, William Hague, has announced that the National Security Council has decided to expand the diplomatic team already in Benghazi, led by Christopher Prentice, to include an additional military liaison advisory team.

This contingent will be drawn from experienced British military officers. These additional personnel will enable the UK to build on the work already being undertaken to support and advise the National Transitional Council (NTC) on how to better protect civilians.

In particular, they will advise the NTC on how to improve their military organisational structures, communications and logistics. In doing so, the UK will coordinate closely with other international partners also assisting the NTC.

In a statement, Mr Hague said: “This deployment is fully within the terms of UNSCR [United Nations Security Council Resolution] 1973 both in respect of civilian protection and its provision expressly ruling out a foreign occupation force on Libyan soil.

“Consistent with our obligations under that Resolution, our officers will not be involved in training or arming the opposition’s fighting forces, nor will they be involved in the planning or execution of the NTC’s military operations or in the provision of any other form of operational military advice.”

Mr Hague said the UK regards the NTC as legitimate political interlocutors for the UK and in recent weeks the British government has decided to supply the NTC with non-lethal assistance in order to assist them in protecting civilians, including telecommunications equipment and protective body armour.

Separately, Major General John Lorimer, Strategic Communications Officer to the Chief of Defence Staff, has delivered an update on UK military action as part of the NATO mission in support of UNSCR 1973.

Major General Lorimer said that NATO has maintained a high tempo of operational activity under Operation Unified Protector, and allied air patrols have continued their regular armed reconnaissance missions, and attacked a number of regime targets.

A strike by RAF fast jets destroys a Libyan regime forces communications installation

On Monday, 18 April, a Tornado and Typhoon attacked a pair of multiple rocket launcher vehicles and a light artillery piece which had been observed firing on Misurata, then guided in a second pair of RAF aircraft to destroy a self-propelled gun and tank which were being brought into the area on a tank transporter.

However, he said that it has also been clear that more needed to be done to inhibit Colonel Gaddafi’s strategic ability to direct his armed forces and their continued atrocities against large sections of the Libyan people.

“A carefully planned strike was launched by NATO over the past two nights against a number of command and control facilities across Libya, which had been identified as playing a key role in the coordination of the movement of Colonel Gaddafi’s forces,” Maj Gen Lorimer said.

 An RAF Typhoon takes off from Gioia del Colle, in southern Italy, equipped with Paveway bombs, air-to-air missiles and a Litening targetting pod
“As part of this operation, a number of Tomahawk missiles were fired by HMS Triumph in the early hours of Monday morning. These were synchronised with precision strikes by coalition aircraft, including Tornados and Typhoons. A further salvo of Tomahawk missiles was launched by Triumph at additional command and control sites last night.”

The General said it will take time for the full impact of these attacks to become clear, but that:
“… they do illustrate, in the clearest manner, NATO’s resolution to take all necessary action to safeguard, wherever possible, the Libyan people under threat of attack, and its ability to strike, with sophisticated targeting and effective precision firepower, at the heart of the apparatus used by Colonel Gaddafi to terrorise the civilian population.”

7 Aprile 2011http://www.forbes.com/feeds/ap/2011/04/07/general-us-us-libya_8396918.html

vi prego di leggere bene quanto ho sottolineato in rosso… Iran?!!! Ne ho lette diverse versioni: neither mistakes nor jokes they are preparing to go to Iran!!! 

General says US may consider sending troops into Libya as part of any international force
WASHINGTON — The U.S. may consider sending troops into Libya with a possible international ground force that could aid the rebels, the former U.S. commander of the military mission said Thursday, describing the current operation as a stalemate that is more likely to go on now that America has handed control to NATO.

But Army Gen. Carter Ham also told lawmakers that American  participation in a ground force would not be ideal, since it could erode the international coalition attacking Moammar Gadhafi’s forces and make it more difficult to get Arab support for operations in Libya.

He said NATO  has done an effective job in an increasingly complex combat situation. But he noted tht, in a new tactic, Gadhafi’s forces are making airstrikes more difficult by staging their fighters and vehicles near civilian areas such as schools and mosques. The use of an international ground force is a possible plan to bolster the Libyan rebels, Ham said at a Senate Armed Services Committee hearing.

Asked whether the U.S. would provide troops, Ham said, “I suspect there might be some consideration of that. My personal
view at this point would be that that’s probably not the ideal circumstance, again for the regional reaction that having American boots  on the ground would entail.”

President Barack Obama has said repeatedly there will be no U.S. troops on the ground in Libya, although there are reports of small CIA teams in the country. Pressed by Sen. John McCain, a leading Republican, about the situation in Libya, Ham agreed that a stalemate “is now more likely” since NATO took command.

Ham also disclosed that the U.S. is providing some strike aircraft to the NATO operation that do not need to go through the special approval process recently established. The powerful side-firing AC-130 gunship is available to NATO commanders, he said. His answer countered earlier claims by the Pentagon that all strike aircraft must be requested through U.S. European Command and approved by top U.S. leaders, including Defence Secretary Robert Gates.

Ham said that process still applies to other fighters and the A-10  Thunderbolt, which can provide close air support for ground forces, He said that process is quick, and other defence officials have said it can take about a day for the U.S. to approve the request and move the aircraft in from bases in Europe.

Overall, he said the U.S. is providing less than 15 per cent of the airstrikes and between 60 per cent and 70 per cent of the support effort, which includes intelligence gathering, surveillance, electronic warfare and refueling. Recent bad weather and threats from Gadhafi’s mobile surface-to-air  missile systems have hampered efforts to use the AC-130 and A-10 aircraft for close air support for friendly ground forces. Ham said those conditions, which include as many as 20,000 shoulder-fired surface-to-air missiles, contributed to the stalemate.

Ham said he believes some Arab nations are starting to provide training or weapons to the rebels. And he repeated assertions that the U.S. needs to know more about the opposition forces before it would get more deeply involved in assisting them. Sen. John Cornyn, a Republican, complained that the lack of knowledge about the rebels is a U.S. intelligence failure.

“It strikes me as unusual and maybe something that Congress needs to look at further, that our intelligence capabilities are so limited that we don’t even know the composition of the opposition force in Libya, ” Cornyn said.

Ham said it was important for the U.S. to turn control over to NATO because many of the troops involved in the Libya strikes are preparing to go toIran or Afghanistan or have just recently returned from the warfront.

“While we can certainly surge to meet operational needs,” Ham said, “there is a longer-term effect if greater numbers of U.S. forces had been committed for a longer period of time in Libya and it would have had downstream operational effects in other missions.”

Separately, State Department spokesman Mark Toner said U.S. envoy Chris Stevens’ talks continue with the Libyan opposition in Benghazi.

Ora abbiamo visto che non solo a casa nostra non vi è la buona abitudine di discutere in Parlamento dei passi da compiere, ma molte altre faccende che ci riguardan sono saltate fuori (!!!)

Hague updates parliament on Libya – A Defence Policy and Business news article

27 Apr 11

UK Foreign Secretary William Hague updated parliament yesterday on events in Libya, saying that we are clear that Gaddafi should go, and it is impossible to see a viable or peaceful way forward for Libya until he does so.

Mr Hague said that Britain has continued to take a leading role in international efforts to protect civilians in Libya and the case for action remains compelling: Gaddafi’s regime persists in attacking its own people, wilfully killing its own civilian population.
He said that our strategy is to intensify the diplomatic, economic and military pressure on Gaddafi’s regime, and, since the House last met, we have made progress on all those fronts:
“On the diplomatic front, I co-chaired the first meeting of the Libya Contact Group in Doha on 13 April. The 21 states and seven international organisations represented demonstrated clear unity with participation from across the Arab world and the African Union in attendance,” said Mr Hague.
“The Group agreed that Gaddafi’s regime had lost all legitimacy, that the National Transitional Council should be offered further support and that the UN Special Envoy should take forward an inclusive political process. I will attend the next Contact Group meeting in Rome on 5 May. (!!!)

UK Foreign Secretary William Hague with NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen at the NATO Foreign Ministers meeting in Berlin on 15 April 2011
“At the NATO Foreign Ministers meeting in Berlin on 14 and 15 April, I joined colleagues in showing our determination to increase the pace of military operations to enforce UN Security Council Resolution 1973 [UNSCR 1973]. The 28 NATO Member States and six Arab countries that attended, 16 of which, out of the 34, are engaged in military action, agreed a common strategy.
“That is an important milestone in world affairs, a sign of a growing ability to work across traditional regional divisions and a demonstration of the breadth and unity in the international coalition in support of the Libyan people.
“On the economic front, since my statement on 4 April, further Libyan entities have been sanctioned and the regime is now subject to some of the most comprehensive economic sanctions ever agreed by the United Nations.
“On military matters, since NATO assumed full control over all military operations on 31 March, more than 3,500 sorties and 1,500 strike sorties have been conducted.”This action has seriously degraded Gaddafi’s military assets and prevented widespread massacres planned by Gaddafi’s forces: they remain unable to enter Benghazi, and it is highly likely that without these efforts Misurata would have fallen, with terrible consequences for that city’s brave inhabitants.
 RAF Tornado and Typhoon aircraft have continued to strike Gaddafi regime forces around the besieged city of Misurata

Yesterday, Italy announced that its aircraft would take part in ground strikes (!!!) and the United States government has contributed Predator unmanned aerial vehicles to the coalition forces. My Right Honourable Friend the Secretary of State for Defence is in Washington today to discuss the military situation.” (See Related News)
“Heavy fighting continues around the towns of Brega, Ajdabiya, Yefren and Misurata,” continued the Foreign Secretary. “The regime’s indiscriminate shelling of residential areas in Misurata shows that it continues to target the civilian population.
“Gaddafi has shown that he has no regard for civilian lives. The ICC [International Criminal Court] prosecutor has said that there is evidence of a case against Gaddafi for crimes against humanity. We look forward to the prosecutor’s report to the UN on 4 May.!!!!
“By his actions it is clear that Gaddafi has no intention of observing the conditions in UNSCR 1973 that I described to the House earlier this month. He has repeatedly ignored the ceasefires that he himself has announced.
“Our military action is defined by the UN Security Council Resolutions. We are also clear that Gaddafi should go, and it is impossible to see a viable or peaceful way forward for Libya until he does so.

“I am sure the House will join me in paying tribute to the skill, bravery and professionalism of the men and women of the UK’s and allies’ armed forces.”Foreign Secretary William Hague: “The Libya Contact Group’s statement made clear that, in contrast to Gaddafi, we and our allies regard the National Transitional Council as a legitimate interlocutor, representing the aspirations of the Libyan people. Our diplomatic mission in Benghazi is working with it. Our Special Envoy, Christopher Prentice, will shortly be succeeded by John Jenkins, currently Her Majesty’s Ambassador in Baghdad.
“Last week I announced our decision to expand this mission with a small advisory team of British military officers. Their sole purpose is to support the NTC’s efforts better to protect civilians by advising on military organisational structures, communications and logistics. They are not involved in training or arming the opposition’s forces, nor are they executing or providing operational military advice.
“This is fully in line with the UN Resolutions, and I reiterate to the House that we will remain wholly in accordance with the UN Resolutions, retaining the moral, legal and international authority that flows from that.
“We have supplied vital, non-lethal equipment to assist the NTC in protecting civilian lives. So far this consists of telecommunications equipment and body armour. We are considering with our international partners further requests.
 In an attack on April 25, further Gaddafi regime vehicles were destroyed at a vehicle park near Misurata
“In the coming week, we hope to agree internationally the process for establishing a Temporary Financial Mechanism to provide a transparent structure for international financial support for the financial requirements of the NTC such as public sector pay. Yesterday, Kuwait announced around £110m worth of support for the NTC.
“I am sure the House will join me in paying tribute to the skill, bravery and professionalism of the men and women of the UK’s and allies’ armed forces.
“Their actions in the NATO operations have already saved many lives and their efforts are essential to bringing a lasting peace and a better future for the Libyan people who have suffered so much at the hands of this brutal regime. And I also pay tribute to the brave humanitarian workers who put their lives at risk.”
See Related Links to read the full transcript of Mr Hague’s statement in which he also talks about other events across the Middle East. inserito di seguito da:
http://www.fco.gov.uk/en/news/latest-news/?view=PressS&id=588215282

Foreign Secretary updates Parliament on Middle East and North Africa

26 April 2011

Foreign Secretary William Hague said the UK will continue to stand for reform not repression in response to the events in the Middle East and North Africa.

In a statement to Parliament updating on the situation in the Middle East and North Africa the Foreign Secretary said:

Britain has continued to take a leading role in international efforts to protect civilians in Libya and the case for action remains compelling: Qadhafi’s regime persists in attacking its own people, wilfully killing its own civilian population.

Our strategy is to intensify the diplomatic, economic and military pressure on Qadhafi’s regime and since the House last met we have made progress on all those fronts.

On the diplomatic front, I co-chaired the first meeting of the Libya Contact Group in Doha on 13 April. The 21 states and seven international organisations represented demonstrated clear unity with participation from across the Arab world and the African Union in attendance. The Group agreed that Qadhafi’s regime had lost all legitimacy, that the National Transitional Council should be offered further support and that the UN Special Envoy should take forward an inclusive political process. I will attend the next Contact Group meeting in Rome on 5 May.

At the NATO Foreign Ministers meeting in Berlin on 14 and 15 April, I joined colleagues in showing our determination to increase the pace of military operations to enforce UN Security Council Resolution 1973. The 28 NATO Member States and 6 Arab countries that attended, 16 of which out of the 34 are engaged in military action, agreed a common strategy. That is an important milestone in world affairs, a sign of a growing ability to work across traditional regional divisions and a demonstration of the breadth and unity in the international coalition in support of the Libyan people.

On the economic front, since my statement on 4 April, further Libyan entities have been sanctioned and the regime is now subject to some of the most comprehensive economic sanctions ever agreed by the United Nations.

On military matters, since NATO assumed full control over all military operations on 31 March, more than 3500 sorties and 1500 strike sorties have been conducted.  This action has seriously degraded Qadhafi’s military assets and prevented widespread massacres planned by Qadhafi’s forces: they remain unable to enter Benghazi and it is highly likely that without these efforts Misrata would have fallen, with terrible consequences for that city’s brave inhabitants.

Yesterday Italy announced that its aircraft would take part in ground strikes and the United States Government has contributed Predator unmanned aerial vehicles to the coalition forces. My Right Hon. Friend the Secretary of State for Defence is in Washington today to discuss the military situation.

Heavy fighting continues around the towns of Brega, Ajdabiya, Yefren and Misrata.  The regime’s indiscriminate shelling of residential areas in Misrata shows that it continues to target the civilian population.

Qadhafi has shown that he has no regard for civilian lives. The ICC prosecutor has said that there is evidence of a case against Qadhafi for crimes against humanity. We look forward to the prosecutor’s report to the UN on 4 May.

By his actions it is clear that Qadhafi has no intention of observing the conditions in UNSCR 1973 that I described to the House earlier this month. He has repeatedly ignored the ceasefires that he himself has announced.

Our military action is defined by the UN Security Council Resolutions. We are also clear that Qadhafi should go, and it is impossible to see a viable or peaceful way forward for Libya until he does so.

The Libya Contact Group’s statement made clear that, in contrast to Qadhafi, we and our allies regard the National Transitional Council as a legitimate interlocutor, representing the aspirations of the Libyan people. Our diplomatic mission in Benghazi is working with it. Our Special Envoy, Christopher Prentice, will shortly be succeeded by John Jenkins, currently Her Majesty’s Ambassador in Baghdad.

Last week I announced our decision to expand this mission with a small advisory team of British military officers. Their sole purpose is to support the NTC’s efforts better to protect civilians by advising on military organisational structures, communications and logistics. They are not involved in training or arming the opposition’s forces, nor are they executing or providing operational military advice.

This is fully in line with the UN Resolutions and I reiterate to the House that we will remain wholly in accordance with the UN Resolutions, retaining the moral, legal and international authority that flows from that.

We have supplied vital, non-lethal equipment to assist the NTC in protecting civilian lives.  So far this consists of telecommunications equipment and body armour. We are considering with our international partners further requests.

In the coming week, we hope to agree internationally the process for establishing a Temporary Financial Mechanism to provide a transparent structure for international financial support for the financial requirements of the NTC such as public sector pay. Yesterday Kuwait announced around 110 million pounds’ worth of support for the NTC.

I am sure the House will join me in paying tribute to the skill, bravery and professionalism of the men and women of the UK’s and allies’ armed forces. Their actions in the NATO operations have already saved many lives and their efforts are essential to bringing a lasting peace and a better future for the Libyan people who have suffered so much at the hands of this brutal regime. And I also pay tribute to the brave humanitarian workers who put their lives at risk.

The UK is also supporting the other needs of the Libyan people in every way we can.  The humanitarian situation in the West of the country is getting worse every day. Many civilians in Misrata lack access to basic necessities, including food, water and electricity. There is a shortage of some crucial medical supplies.

That is why my Rt Hon. Friend the International Development Secretary announced last week that the UK will provide medical and other emergency supplies and undertake evacuations for 5000 migrants stranded at Misrata port in squalid conditions. The UK has so far given over £13 million to meet immediate humanitarian needs, providing funding for medical and food supplies, emergency shelter, and assistance for evacuating poor and vulnerable migrants. In Misrata alone, British support has given 10,000 people food, 2000 families water and hygiene kits and provided essential medical staff.  But the regime must guarantee unfettered humanitarian access, not just broken promises which then put the lives of aid workers and volunteers at risk.

The wave of demand for change in the Arab World continues to gain momentum in other nations. As I said earlier today we condemn utterly the violence and killings perpetrated by the Syrian security forces against civilians who are expressing their views in peaceful protests. This violent repression must stop. President Assad should order his authorities to show restraint and to respond to the legitimate demands of his people with immediate and genuine reform, not with brutal repression. The Emergency Law should be lifted in practice and the legitimate aspirations of the people met.

The United Kingdom is working intensively with our international partners to persuade the Syrian authorities to stop the violence and respect basic and universal human rights to freedoms of expression and assembly.

Syria is now at a fork in the road. Its Government can still choose to bring about the radical reform which alone can provide peace and stability in Syria and for the long term, and we urge it do so. Or it can choose ever more violent repression, which can only bring short term security for the authorities there. If it does so we will work with our European partners and others to take measures, including sanctions, that will have an impact on the regime.

Given our concerns for British Nationals in Syria we changed our Travel Advice on Sunday to advise against all travel there and to advise that British Nationals should leave unless there is a pressing need for them to remain.

In Yemen, the United Kingdom welcomes the news this morning that the efforts of the Gulf Co-operation Council countries to resolve the current political deadlock are close to success. I understand that President Saleh and the parliamentary opposition have accepted the GCC’s proposal. This is potentially good news.

Both sides now need to come together to confirm their commitment to the peaceful, inclusive and timely transition process that the GCC has brokered. The UK remains committed to our long-standing support for Yemen in these difficult times.

Although the immediate situation in Bahrain is calmer, there continue to be credible reports of human rights abuses. I urge the Government of Bahrain to meet all its human rights obligations and uphold political freedoms, equal access to justice and the rule of law.  Dialogue is the way to fulfil the aspirations of all Bahrainis. And I urge all sides, including opposition groupings, to engage with each other.

In Egypt, which I will visit shortly, we welcome the actions being taken by the authorities to move towards a broad-based, civilian-led government and an open, democratic society.

In Tunisia, with EU partners we are providing support to help the government in Tunisia meet the wishes of the Tunisian people. On 11 April, the Commission responsible for bringing together opposition parties and civil society approved the draft law for the Constituent Assembly elections scheduled for 24 July. This is a step further towards free and fair elections and an open, democratic society.

The European Union has a crucial role to play in the southern Mediterranean. The great changes in the Arab world are truly historic and the response from the nations of the European Union should be bold and ambitious.

The review of the European Neighbourhood Policy is due to be published in a fortnight.  We have been making the case that we have the opportunity to use that Policy to help the peoples of the Southern Mediterranean achieve their desire for freer and more prosperous societies. A renewed Neighbourhood Policy should see the EU using its economic magnetism to encourage and support political and economic reform in neighbouring countries. A partnership of equals should reward those who make the necessary political and economic reforms, and – importantly – withdraw benefits from those who do not.

Finally, it remains essential that progress is made in the search for a just and lasting solution to the Israeli-Palestinian conflict. This is what the majority of Palestinians and Israelis demand of their leaders. The extraordinary changes in the region are an opportunity to be seized, not an excuse for further prevarication leading to more frustration and discontent.

Mr Speaker, in our response to the dramatic events in North Africa and the Middle East we will continue to stand for reform not repression, for the addressing of grievances rather than brutal reprisals. It is a policy in accordance with our own beliefs, in line with our own national interest, and in pursuit of the peace and prosperity of the wider world.

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By air and by sea, more UN relief aid arrives for civilians in strife-torn Libya

A convoy brings food supplies to areas of Libya that have not received aid since December

26 April 2011 – Vital United Nations relief assistance has arrived by sea and by air in the Libyan cities of Benghazi and Misrata in the past couple of days, as fighting continues to rage between the Government and rebels seeking the ouster of Colonel Muammar Al-Qadhafi.

In eastern Libya, a plane chartered by the UN High Commissioner for Refugees (UNHCR) arrived yesterday in Benghazi carrying hospital tents, kitchen sets and plastic sheets for shelter.

This is the first UN humanitarian flight to land in the rebel-held city, according to the agency, which said the airlift also brought cars and equipment for UNHCR to support the opening of an office in Benghazi together with other UN agencies.

Meanwhile, a ship chartered by the UN World Food Programme (WFP) has delivered more than 500 tons of food assistance, three ambulances, medical supplies and other relief items to Misrata.

It is the second time this month a WFP-chartered vessel has delivered aid to the people of the north-western city, which has been the scene of continuous fighting this year between military forces allied to the Qadhafi regime and opposition groups.

“The humanitarian situation is growing increasingly urgent,” Secretary-General Ban Ki-moon warned today, adding that the priority is to protect civilians.

He told reporters after briefing the Security Council in a closed-door meeting that the Libyan regime has lost both legitimacy and credibility, particularly in terms of protecting its people and addressing their legitimate aspirations for change.

Diplomatic efforts aimed at securing a ceasefire and achieving a political solution are continuing, Mr. Ban added, noting that his Special Envoy, Abdel Elah al-Khatib, will travel once again to Benghazi on Friday.

As fighting continues to rage in Misrata, the families recently evacuated by boats to Tobruk describe a “catastrophic” situation with many having lived in fear of indiscriminate shelling, UNHCR spokesperson Andrej Mahecic told a news conference in Geneva.

“Many houses and buildings have been destroyed and some families had to move several times. Parts of Misrata have had neither electricity nor water. Sniper fire, street clashes and shelling have prevented people from venturing outside of their homes to get food and medicine,” he said.

“Families evacuated from Misrata also say they have been hiding in their homes for the past two months before seizing the opportunity of a lull in fighting to get to the harbour and board a boat,” added Mr. Mahecic.

Evacuees also told UNHCR staff that in some neighbourhoods in Misrata, pregnant women gave birth in their homes as it would have been too dangerous to make the trip to the hospital.

The agency also reported that an estimated 30,000 Libyans have fled their homes in western Libya and crossed into southern Tunisia over the past three weeks, many of them ethnic Berbers.

A UN inter-agency humanitarian team travelled from the Tunisian border to the Libyan capital, Tripoli, on Sunday with the goal of re-establishing an international presence there and to review humanitarian needs. The team is also discussing humanitarian access in the west with the Libyan authorities.

As of today, the $310 million aid appeal for Libya is 42 per cent funded, with $129 million received and $1.4 million pledged, according to the UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA).

The appeal covers assistance for a three-month period in areas such as food security, nutrition, health care, water and sanitation and shelter.

WFP today voiced concerned about access to food for people stranded in areas heavily affected by the fighting, as well as about food security and the future of the public food distribution system in Libya as food stocks in the country are being consumed without replenishment.

“The longer the conflict lasts, the more likely that the number of those in need of food assistance will increase,” the agency stated in a news release.

A recent inter-agency mission found that food stocks in the eastern parts of the country are not being replenished at normal rates and the current stocks are enough for up to two months only, WFP said, warning of a potential massive food availability problem for all of eastern Libya if the country’s import capacity is not restored quickly.

The fighting in Libya started out as protests against the Qadhafi regime, and is part of a broader pro-democracy movement across North Africa and the Middle East that has led to the downfall of long-standing regimes in Tunisia and Egypt.

News Tracker: past stories on this issue

UN and Libya reach agreement on humanitarian presence in Tripoli

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April 30, 2011 20:28 EDT

Gadhafi said to survive reported missile attack

TRIPOLI, Libya (AP) — Libya says neither Moammar Gadhafi nor his wife was hurt by a NATO missile that hit the home of their youngest son, killing the son and three grandchildren.

A government spokesman says it happened in a residential neighborhood of Tripoli. Journalists who were taken to the walled complex saw heavy bomb damage.

Seif al-Arab Gadhafi was said to be 29, and had spent much of his time in Germany in recent years. The government says he was “playing and talking with his father and mother and his nieces and nephews and other visitors” at the time of the attack.

The reported airstrike came just hours after Gadhafi called for a mutual cease-fire and negotiations with NATO. A NATO official says Libya has “announced cease-fires several times before and continued attacking cities and civilians.”

New York Times
May 1, 2011

NATO Strikes Draw Scrutiny After Qaddafi Family Deaths

By

BENGHAZI, Libya — NATO’s campaign of airstrikes against Libya came under the most intense criticism yet on Sunday, with Russian officials accusing the alliance of using “disproportionate” force in civilian areas a day after a strike on central Tripoli was reported to have killed a son and three grandchildren of Col. Muammar el-Qaddafi.

Although NATO commanders insisted that they had struck a legitimate military target on Saturday night and had not, and would not, specifically target Colonel Qaddafi, the Libyan government accused the NATO of mounting an assassination attempt illegal under international law. On Sunday, the Russian foreign ministry and a lawmaker close to the Kremlin sounded those themes as well, directly challenging the aims of the NATO mission.

In a statement, the Foreign Ministry accused NATO of exceeding the mandate of a United Nations resolution allowing it to maintain a no-fly zone over Libya and to protect civilians. The attack, it said, “arouses serious doubts about coalition members’ statement that the strikes in Libya do not have the goal of physically annihilating M. Qaddafi and members of his family.”

Foreign Minister Sergei V. Lavrov said on the political talk show “Postscriptum” that the attacks bore out Russia’s concerns about the resolution, which at the time led it to vote to abstain. “And now we see in practice that our misgivings were justified,” he said.

Konstantin I. Kosachev, chairman of the international affairs committee in Russia’s lower house of parliament, said that if the reports of the deaths of Qaddafi family members were confirmed, it would drive home the point that the Western operation “is unacceptable to the same degree as the attacks by Qaddafi and his forces on civilians.”

“I am very surprised by the total silence of the presidents of the U.S., France, and some other Western countries,” Mr. Kosachev said in an interview on the radio station Ekho Moskvy.

In Tripoli, the British and Italian embassies and United Nations offices were vandalized early Sunday morning in apparent revenge attacks for the aistrikes, though no one was reported hurt.

Britain responded by ejecting the Libyan ambassador, Foreign Secretary William Hague said. And the Italian Foreign Ministry said in a statement that, “The attacks against our embassy will not weaken Italy’s determination, along with that of the other partners in the coalition, to continue protecting the interests of the Libyan civilian population.” Both Britain and Italy are involved in the Libya air operation.

A United Nations spokeswoman said a mob broke into a building housing various United Nations offices in Tripoli and ransacked the place. No one was in the office at the time. The agency reported that it had begun pulling the rest of its personnel, less than a dozen people, out of Libya entirely.

In Libya, allied airstrikes continued, as did the government’s bombardment of rebel strongholds, including the besieged city of Misurata in western Libya. Heavy artillery strikes repeatedly hit near the city’s port and airport, and the sustained bombardment destroyed many houses in the city over the past two days.

Colonel Qaddafi’s opponents continued to question whether the colonel’s son, Seif al-Arab al-Qaddafi, 29, and three unidentified grandchildren had actually been killed or whether the announcement amounted to a ploy by Colonel Qaddafi to blunt criticism of his attacks on several rebel-held areas and win sympathy.

“We do not have verification,” said Jalal al-Gallal, a rebel spokesman. “Whose children were there and what were there names? Nobody should have survived the blast in that building,” he said, referring to video footage that Libyan officials said showed the destroyed house where Seif Qaddafi was killed and where Colonel Qaddafi and his wife narrowly avoided injury.

In response to that skepticism, Libyan state television showed images of a body the government claimed was the son, the satellite channel Al Jazeera reported.

The footage showed what appeared to be two adult bodies, both of them completely covered, one of them with a green flag.

Reporting was contributed by Ellen Barry from Moscow, Rachel Donadio from Rome and Dan Bilefsky from New York.


COMMENTI E CRITICHE
Ho molto apprezzato la concatenazione logica del ragionamento di Richard Branneman nel suo blog, dove dimostra attraverso riflessioni e testimonianze, come l’intera operazione e il coinvolgimento di AFRICOM in particolare, sia parte di una strategia coloniale e di mero interesse economico. Non dimentica neppure di citare un articolo della stampa Ghanese in cui si fanno giuste illazioni sulla risoluzione anomala del caso della Costa d’Avorio (si sarebbero semplicemente dovute rifare le elezioni sotto stretto controllo di commissioni internazionali) che, portando alla cacciata di Gbagbo, ha cancellato una opposizione anti-francese decisamente scomoda… il fatto che l’annuncio di tale risoluzione sia stato dato dal Governo francese non è da poco. Riporto la citazione di Campbell, ma leggete l’intera pagina nell’originale…

15 Marzo 2011

Horace Campbell,  Pambazuka News

The Western bombardment of Gaddafi’s forces in Libya has become an  opportunistic public relations ploy for the United States Africa Command  (Africom) and a new inroad for US military stronghold on the continent. This  involvement of Africom in the bombardment is now serving to expose the  contradictions and deceit that have surrounded the formation of this combatant  command, which is a front for military humanitarian assistance to Africa in  coordination with the US Department of State and the US Agency for International  Development (USAID). Attempts by the US to re-militarize its engagement with  Africa is extremely dangerous, given the fact that the US does not have any  positive or credible tradition of genuine assistance to freedom fighters and  liberation movements in Africa.

The US was complicit in the planning of the murder of Patrice Lumumba of the  Congo, after which they propped up the monstrous dictator Mobutu Sese Seko who  raped and pillaged the country and established a
recursive process of war, rape,  plunder, corruption, and brutality which the Congo still suffers from till  today. Jonas Savimbi was sponsored by the US to cause destabilization and terror  in Angola. The US gave military, material and moral support to the apartheid  regime in South Africa while anti-apartheid freedom fighters, including Nelson  Mandela, were designated as terrorists. It was only in 2008 that the US Congress  passed a bill to remove Mandela’s name from the terrorist watch list). The US  has yet to tell the truth about how Charles Taylor escaped from its prison  custody in Massachusetts to go destabilize Liberia. Young people who are  recruited for the US military and deployed to Africom may not know much about  the notorious history of US military involvement in Africa. The military top  brass take advantage of this ignorance among the young folks.

Just as the US military carried out psychological warfare against US  senators, one of the tasks of Africom is to rain down psychological warfare on  Africans. Built in this subtle psychological warfare is the concept of the  hierarchy of human beings and the superiority of the capitalist mode of  production and ideas of Christian fundamentalism. It is on this front that we  find a section of the US military known as the “Crusaders.”

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27 April 2011

In Libya, ‘mission creep’ sets in

The most likely outcome in Libya is Moammar Kadafi’s massacre of his political opponents.

April 23, 2011|Tim Rutten

Predictably, though, mission creep is what’s occurring in Libya. Each halting step the United States and its NATO allies take deeper into a morass none of them really understands makes it more likely that this ill-considered intervention will end in precisely the event it set out to prevent: Moammar Gadhafi’s massacre of his political opponents.

That’s because even the most enthusiastic of the strongman’s foreign antagonists, France, is unwilling to commit troops to dislodge him from power. Without foreign troops it seems less and less likely that an untrained, sketchily equipped, ill-organized and divided insurgency will overthrow Gadhafi, who has all the resolve of a man with nowhere else to go and the support of his tribal allies and the considerable number of Libyans who somehow have benefited from his misrule.

Speaking to U.S. troops in Baghdad this week, Adm. Michael G. Mullen, chairman of the Joint Chiefs of Staff, admitted that the Libyan civil war — which is what the uprising has become — is “certainly moving toward stalemate.” Moreover, the half steps the allies announced this week are unlikely to break the deadlock on the ground. France, Britain and Italy will send a handful of “military advisers” to assist the rebels, while the United States will commit missile-armed Predator drones to the air campaign and $25 million in non-lethal aid.

For once, Russian Foreign Minister Sergei Lavrov had matters about right Thursday when he said, “We consider these moves extremely risky. … There’ve been cases in history when it all started with sending in military advisors, and then it dragged out for years and resulted in hundreds and thousands dead on both sides.”

Moreover, as security analyst Anthony H. Cordesman pointed out this week, the “announcement that British and French military advisors are going to help is not going to alter that situation quickly. It will take months more — at a minimum — to properly train and equip them, and it will take a radical shift in rebel leadership to give them meaningful unity and discipline. In the interim, an enduring war of attrition will turn a minor humanitarian crisis into a major one — driven by the reality that Libya has to import over 75 percent of its food, and the Gadhafi regime was so corrupt and self-serving that the CIA estimates that 30 percent of the population was unemployed and one-third was at the poverty line before the crisis began.”

If, as is entirely possible, Gadhafi and his kleptocratic family dynasty somehow survive, the Libyan people will have passed through the privations of a stalemated civil war only to suffer the horrors of an unrestrained tyrant’s revenge. Something similar happened after the Persian Gulf War, when the victorious allies quietly encouraged the Shiite Muslims of southern Iraq to rise against a weakened Saddam Hussein, and then stood by while he slaughtered them.

For historians, Cordesman argues, the ill-conceived Libyan intervention “is yet another demonstration that they have the world’s easiest profession — all they have to do is wait for history to repeat itself. Unfortunately, there is nothing amusing about the fact that the lives and futures of some 6.6 million Libyans are at stake. The Franco-Anglo-American gamble now seems far too likely to fail at their expense.”

Even the more concrete of the steps grudgingly taken by the Obama administration this week is as likely to backfire as it is to succeed. The ostensible military purpose of the Predator drones is to operate in close support of the rebel forces at low altitudes, where piloted aircraft would be at unacceptable risk from Libyan ground fire. Analysts familiar with the drones’ operations in Pakistan and Yemen, however, point out that, with proper intelligence, the unmanned craft could be used to assassinate Gadhafi, his sons and lieutenants. In other words, kill the snake by cutting off its head. It may sound like a good idea, but … Something deep and unexpected — perilous, but promising — is welling up across the Arab world. Whatever the outcome, it must be the work of the region’s people themselves. If the United States intervenes with military force and summary executions — even of loathsome lunatics like Gadhafi — the consequences could be catastrophic.
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LINKS per approfondimenti

Africom-Italia: Wikileaks rivela la malafede italica

Siamo un po’ spiazzati… ma tutto tutto dobbiamo sapere? Ok, “noi” forse sì… ma tutti tutti devono sapere? La questione Assange ci divide, ma ecco, che scendendo nel dettaglio comprendiamo bene quanto utile sia la battaglia di questo idealista che ha il coraggio di rischiare di persona per le proprie azioni. Dopo aver scritto costernata una lettera al Ministro Frattini (dubitavo non sapesse distinguere tra Pentagono e Nato, ma si era espresso come se Africom facesse parte delle iniziative del patto Atlantico), apprendo ora che da Berlusconi in giù tout-le-monde sapeva, ma mentiva….

http://www.nodalmolin.it/spip.php?article1147

Wikileaks, Dal Molin a rischio con Africom
RIVELAZIONI. Messo in rete un rapporto riservato dell’ambasciatore americano al Segretario di Stato in cui si fa riferimento per la prima volta alla base vicentina. Spogli: «Il governo italiano teme che il cambiamento della Setaf non rientri nelle finalità Nato previste dal trattato bilaterale»
Silvio Berlusconi a colloquio con Barack Obama. Il rapporto pubblicato da Wikileaks fu redatto 10 giorni dopo l’elezione del presidente Usa.
Una decina di giorni dopo l’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, verso la metà di novembre del 2008, l’ambasciatore americano a Roma, Ronald P. Spogli, predispone un rapporto riservato (confidential) per il Segretario di stato, Condoleezza Rice, in vista del suo incontro con il premier Silvio Berlusconi. È uno dei 250 mila cablogrammi “catturati” da Wikileaks ed è il primo che mette Vicenza e il Dal Molin al centro dei temi da trattare tra i vertici dei due paesi alleati.
«Berlusconi ha raggiunto un livello di consenso molto vasto – scrive Spogli – e questo ci ha consentito di fare diversi passi avanti nella nostra agenda». Tra i punti che stanno più a cuore agli americani, «quello dell’espansione della cruciale base militare di Vicenza». «Durante la sua visita – prosegue l’ambasciatore – spero che lei possa annunciare pubblicamente la collocazione dei comandi dell’esercito e della marina di Africom in Italia, simbolo della forza della nostra stretta collaborazione bilaterale in materia di sicurezza».
Un cambiamento di funzione, quello della Setaf installata da oltre 50 anni alla Ederle, che non suscita molta curiosità, anche se su Citylights, la rivista ufficiale del Comune di Vicenza, compaiono prima un lungo articolo di valutazione strategica (titolo emblematico: “Giallo d’Africa”) sui riflessi nelle relazioni con la Cina già molto presente nel Continente nero, e poi una replica rassicurante del generale William B. Garrett III.
Nel suo rapporto Spogli spiega perché in realtà il governo italiano ha manifestato qualche preoccupazione prima di dare il benestare a questa variazione. «I timori italiani – spiega l’ambasciatore – riguardano la Setaf e sono incentrati su due questioni, una legale e l’altra politico-locale. Il trattato bilaterale segreto sulle infrastrutture del 1954 limita la presenza americana in Italia esclusivamente alle truppe schierate per finalità previste dalla Nato. Dopo lunghi negoziati, il governo italiano ha accettato la nostra interpretazione estensiva del trattato bilaterale, ritenendolo applicabile anche ad Africom, in quanto il ruolo resta di supporto alla Nato. Il governo ci ha chiesto però di rimandare l’annuncio ufficiale del cambiamento a causa della controversia locale legata all’ampliamento della base di Vicenza che comprenderà l’aeroporto Dal Molin».
Questa preoccupazione, in effetti, non era mai uscita dall’ambito delle diplomazie. In pratica il governo temeva che, essendo l’Africa fuori dall’oggetto sociale della Nato, le stesse basi americane presenti in Italia perdessero la legittimità sancita dal trattato bilaterale del ’54. Come è stata risolta la questione affatto secondaria? Lo chiarisce lo stesso Spogli: «Il governo italiano ha risposto positivamente alla nostra richiesta di un annuncio congiunto su Africom durante la sua prossima visita. Questo permetterà di evidenziare gli aspetti umanitari della nostra missione in Africa e tenere lontano il più possibile il tema dalla controversa espansione della base di Vicenza. E si potranno illustrare le sinergie col Coespu, eccellente centro di addestramento per peacekeepers africani che si trova proprio a Vicenza».
di Marino Smiderle
Tratto da Il Giornale di Vicenza
Febbraio 2011

Operation Odyssey Dawn… un viaggio verso dove? (dal 19.03.2011)

DI COME ULISSE NON POSSA PERMETTERSI VUOTI DI MEMORIA
In principio era Sarkozy che “rubando la scena” – nelle parole del Gen. Tricarico (ex-CdSM dell’esercito Italiano) ospite del Tg3 questa notte –  a conclusione del vertice di 22 rappresentanti mondiali a Parigi, apre le danze dando corso pratico alla II UN SC resolution (1973), con una operazione “congiunta” e “coordinata” della coalizione costituita da Francia , USA, UK, Canada, Italia, con l’appoggio della Lega araba, mentre l’Unione africana apparentemente si defila e – a margine di quanto espresso dal Peace and Security Council il 10 marzo scorso ad Addis Ababa – organizza in contemporanea all’incontro internazionale dei 22,  un vertice ad alto livello tra Mauritania, Mali, Sudafrica e Uganda a Nouakchott,  per assumere in un secondo tempo il ruolo di mediatore.

A nord di questo emisfero segue una reazione “bizzarra” (Tricarico again), fuori dagli schemi comuni delle operazioni Nato (ma non è Nato, non è Europa… Cos’è? E’ caos o è tutt’uno?) nell’informazione e/o nella concertazione bellica. Prima dell'”Alba” della partenza di Ulisse, soffia infatti “l’Harmattan”: scatta l’operazione Harmattan dei Mirage2000D Rafale francesi, e Ulisse parte da solo, senza aspettare copertura.

Una interessante descrizione dell’operazione, nel suo primo giorno, la fornisce l’esperto David Cenciotti, confermando i sospetti di un inizio delle operazioni, contestuale al vertice internazionale. Questo eccesso di zelo francese può essere giudicato “inusuale”, da parte di chi non conosca a fondo i trascorsi francesi nell’area e di chi tenda a dimenticare le operazioni francesi in Libya e Chad. La lunga guerra civile chadiana vide confrontarsi le forze aeree e di terra di Francia e Libya per un decennio (dal 1978 all’87), infatti: quali gli interessi? Non tanto l’accaparramento della striscia d’Aouzou, di punto interesse strategico, ma sicuramente l’espansione ambita da Gheddafi verso l’Africa centro-orientale, fu molla di allora cui si contrappose la speranza francese di ricacciare Gheddafi talmente a nord, talmente a nord da fargli lavar i panni in Mediterraneo e guardarlo nuotare da stabilimenti Total-Elf. Nè si capisce a sufficienza la reazione di Stati Uniti apparentemente non interventisti, lanciatisi o per reazione condizionata o raptous in una mischia non diretta da loro, se non si consideri la competizione franco-americana sul continente africano per un buon tratto della guerra fredda… un discorso sospeso. Basta guardare la successione degli eventi attraverso i media italiani e lo strano sgocciolamento delle notizie, certo confuso dall’opposizione interna e dal caos in cui la nostra situazione politica trasforma ogni singolo atto sul fronte internazionale: h. 20:30 – la Rai ci racconta che noi italiani faremo la nostra parte, a dispetto della cautela di Bossi e la valanga di immigrati che questo teme, e trasmette le parole del Min. della Difesa La Russa che non intende “cedere le chiavi di casa” perchè gli amici usino del suo appartamento senza controllo e moderazione; d’altro canto gli Stati Uniti non interverranno, così come la Germania.
h. 20:45 – Passa il tempo di uno zapping sul canale 48, Rai News – nemmeno troppo distante dal diritto di canone – ed ecco che Africom avrebbe preso in mano la situazione, coordinando da Stoccarda (Germania) un  bombardamento della contraerea libica con 110 Tomahawk. 
Mentre questa mattina apprendiamo di velivoli che approderebbero dalla Danimarca se non dalla Finlandia nelle nostre basi e che anche l’Australia si sta preparando… molte chiavi di quell’appartamento sono in giro, Ministro La Russa.

Frattanto, nella chat di Mo (Mohammed Nabbous) su “Libya Alhurra“, canale di video-streaming che s’appoggia al satellite per evitare gli oscuramenti di regime e che continua nonostante il suo ideatore sia stato ucciso il mattino del 19 Marzo, emerge che la tv cubana starebbe usando delle fotografie e dei video dei cadaveri dei ribelli di Bengasi per attribuirli ai bombardamenti dei “crociati”.

Fino a sera, Canada e Italia sono pronte, ma non agiscono. Capisco il discorso di La Russa, cui prudono le mani e s’attizza l’occhietto mefistofelico – conosco bene l’imprudenza che nasce dai vuoti di memoria (reali o “opportuni”) -, tuttavia, sorprende lo sbilanciamento di Napolitano, anche se non entra spedificatamente nel merito della qualità del nostro intervento. L’ho visto ieri sera via satellite: senza sosta la tv nazionale libica sta proiettando “IL LEONE DEL DESERTO”, il film che ancora non circola liberamente in Italia, ma che è un atto d’accusa verso le nostre colpe di colonizzatori, mentre nella censura, a casa nostra, perdura una vergogna che non si è trasformata in riscatto: non certo nell’accordo appena rinfrescato (siglato il 17 marzo) tra ENI e governo libico.

Possiamo… dobbiamo prepararci altrimenti, per un aiuto alla società civile. Presto “vi posto” il progetto, perchè il racconto di Mo, nelle ore precedenti la sua morte, lo potete vedere tutti e si chiedeva, esasperato: “DOV’E’, MA DOV’E’ AL-JAZEERA?”, invocando un mondo che entrasse nella notizia che lui cercava di far uscire.
Guardate Mo e il coraggio di quel ragazzo, poche ore dopo che queste immagini han fatto il giro del mondo, è morto con colpi di cecchino alla testa…:  fermi non si può mica stare, ma certo non si possono prendere le armi e andare ad uccidere quanti vengono costretti dal dittatore a prendere le armi per farsene scudo contro il “crociato”. Non abbiamo meritato una definizione migliore, non l’abbiamo decostruita rafforzando legami culturali ma solo interessi… sempre e solo interessi economici, a dispetto della gente.

Per la risoluzione ONU che impone sanzioni alla Libya (1970) v. www.un.org/sc/committees/1970/

Per una specie di televideo italico sulla guerra clicca qui.

Mohammed Nabbous (1983-2011)

A Mo, a Mohammed Nabbous dovrebbe essere dedicata la prima scuola di libero giornalismo in Libia. A differenza di quanto dice questo articolo, non solo ha galvanizzato, ma con il suo coraggio ha informato il mondo, di quanto stesse davvero accadendo  a Benghazi, con lo scoppio della guerra, e nei momenti di maggior tensione, mentre passava fra corpi e macerie con la sua telecamera, implorava: “ma dov’è Al-Jazeera???” e la sua voce era rotta dall’ansia e dal pianto. Poco professionale? Forse. Ma è grazie a lui se si è insinuato il dubbio che buona parte del giornalismo dovrebbe andare sotto processo, perchè falsa, estrpola, calibra, mitizza, creando al meno focus che distraggono dal quadro, al più un quadro del tutto falso

Libyan citizen journalist killed

Cynthia Vukets /Staff Reporter March 19, 2011

A Libyan citizen journalist whose work helped galvanize public anger against Moammar Gadhafi was shot dead Saturday while collecting video for his online television network.

Mohammed Nabbous, founder of Libya Alhurra TV, died in Benghazi shortly after posting a report about violence in a residential area of the city.

In the last video he posted on his Livestream channel, Nabbous describes a day of bombing in an area of Benghazi called Hai al Dollar. The short video displays damage to homes and cars from what Nabbous describes as a bombing raid on innocent people.

“This is just not good anymore. He has to be stopped,” Nabbous, a handsome man with a buzz cut and short beard clad in a black t-shirt, says into the webcam. “Where is Al Jazeera? Where’s the media? They should be there right now taking videos of what’s happening. The bombing hasn’t stopped.”

Several hours after posting that report, Nabbous was killed while out trying to gather more video for the site.

The next video posted on Alhurra was a heart-wrenching message from his pregnant widow.

“I want to let all of you know that Mohammed has passed away for this cause. He died for this cause and let’s hope that Libya will become free,” she says, her voice frequently breaking. “Please pray for him. And let’s not stop doing what we are doing until this is over. What he started has got to go on. No matter what happens.”

His viewers are now calling for a Nobel Peace Prize nomination. A Facebook page created Saturday had hundreds of messages of thanks and solidarity. Many postings described Nabbous as a martyr.

“Inshallah ya Mo your dream will come thru and your son will be born in Free Libya,” wrote Wafaa Yaacoub.

“May God keep your soul, Mo. You have done so much for your people. You will stay forever in our memories,” Bouchra Bensaber wrote in French.

Fans and journalists expressed shock and grief via Twitter.

“We all laud the courage and professionalism of Mohammed Nabbous, the voice of Libya,” posted Radio-Canada’s Jean-Francois Belanger.

“Mohammed Nabbous was one of the courageous voices from Benghazi broadcasting to the world from the beginning. Smart, selfless, brave,” posted CNN’s Ben Wederman.

Nabbous started Libya Alhurra TV via a satellite connection to avoid blockades internet from government. He had nine cameras streaming 24 hours a day since the channel’s creation Feb. 17. He was 28.

L’Italia e le spese militari

Italia: record di 4,9 miliardi di export di armamenti, in “revisione” la legge 185/90 [03/2010]

Aprile 2010: un tabloid da metropolitana ci avverte di come le esportazioni di armi garantite dalle autorizzazioni del Governo, contribuiscano pesantemente a mantenere in equilibrio la nostra economia pur in tempo di crisi. Giorgio Beretta, uno dei maggiori esperti e più attenti denunciatori di tale capitolo già dal mese di marzo, dal sito http://www.unimondo.org/Notizie/Italia-record-di-4-9-miliardi-di-export-di-armamenti-in-revisione-la-legge-185-90 ci avvertiva:

 Martedì, 30 Marzo 2010

Eurofighter Typhoon (EFA) in azione

L’industria militare italiana fa il botto. Ammontano infatti a 4,9 miliardi di euro le autorizzazioni all’esportazione di armamenti rilasciate dal Governo nel 2009 alle aziende del settore con un incremento di ordinativi internazionali (il 61%) sconosciuto ad altri settori dell’industria nazionale. Ed hanno superato quota 2,2 miliardi di euro le effettive consegne di materiali militari. Un duplice record che annovera il BelPaese tra i big player in quello che il Rapporto della Presidenza del Consiglio sull’esportazione di materiali militari pubblicato ieri definisce il “mercato globale” degli armamenti (pg. 25).

Un nuovo record ottenuto soprattutto grazie alla commessa da oltre 1,1 miliardi di euro da parte della Al-Quwwat al-Jawwiyya al-Sa’udiyya, la Reale Aeronautica Saudita per i caccia multiruolo Eurofighter Typhoon (EFA). Un colossale e torbido affaire reso possibile a seguito dello stop alle investigazioni richiesto e ottenuto dall’allora Primo Ministro britannico Tony Blair su tutta la faccenda collegata all’affare Al Yamamah (la Colomba) che ha visto coinvolta la BAE Systems. Un caso che è stato per anni – ed è tuttora – nel mirino della stampa britannica ma di cui quasi nessun organo di informazione – a parte Unimondo – ha parlato in Italia. Utile spendere qualche parola per capire i retroscena della vicenda.

Nel dicembre del 2006 l’Arabia Saudita aveva infatti minacciato di sospendere i negoziati commerciali col governo britannico per l’acquisto di 72 nuovi caccia Eurofighter dal gruppo BAE Systems: il contratto da 10 miliardi di dollari era stato sospeso per l’irritazione dei sauditi nei confronti proprio dell’inchiesta avviata dal Serious Fraud Office (SFO), l’Ufficio anti-frodi britannico, sulle tangenti che sarebbero finite nei conti svizzeri della famiglia Reale saudita, all’interno di un ventennale contratto di scambio di “armi per petrolio” tra Ryad e la Gran Bretagna. L’indagine riguardava i fondi neri, pari a 114 milioni di dollari, usati dalla compagnia per corrompere dignitari dell’Arabia Saudita, pagando tra l’altro prostitute, Rolls-Royce e vacanze in California: l’intervento di Tony Blair – che aveva giustificato la sua presa di posizione adducendo motivi di “sicurezza nazionale” e “l’immenso danno agli interessi del paese” se l’indagine fosse proseguita – aveva messo fine all’inchiesta sulla BAE e – nonostante le proteste delle associazioni britanniche – aveva riaperto le trattative tra il consorzio Eurofighter e il governo saudita per l’acquisto dei 72 caccia Eurofighter (EFA – El Salaam).

Sgombrato il campo dall’inchiesta giudiziaria britannica (che però è stata ripresa dal Department of Justice degli Stati Uniti che lo scorso febbraio ha sanzionato la BAE per 400 milioni di dollari per “reati di corruzione“), l’Arabia Saudita ha riaperto le trattative per acquistare 72 caccia Eurofighter (EFA) dal gruppo di cui la BAE Systems è il prime contractor e che vede la partecipazione dell’italiana Alenia Aeronautica alla quale lo scorso anno, appunto, è stata autorizzata dal Ministero degli Esteri l’esportazione di componenti per l’EFA-SALAM all’Arabia Saudita per circa 1,1 miliardi di euro.

E che Nord Africa e Medio Oriente siano i principali clienti dell’industria militare italiana lo conferma lo stesso “Rapporto della Presidenza del Consiglio (Tabella 5 in .pdf): verso quest’area geopolitica sono state rilasciate autorizzazioni all’esportazione di armamenti per oltre 1.9 miliardi di euro pari al 39,5% del totale. Tra i maggiori acquirenti spiccano oltre all’Arabia Saudita (1,1 miliardi di euro di commesse, pari al 16,3% del totale), il Qatar (317,2 milioni di euro) soprattutto per la fornitura di elicotteri EH 101 SAR dell’Agusta, gli Emirati Arabi Uniti (175,9 milioni), il Marocco (156,4 milioni) e la Libia (111,8 milioni) per citare solo i principali.

Nell’insieme primeggiano – e preoccupano – le autorizzazioni verso i Paesi del Sud del mondo che totalizzano più di 2,6 miliardi di euro (pari al 53,2%) mentre quelle verso Paesi della Nato-Ue si fermano a 2,3 miliardi di euro pari al 46,8% (si veda Tabella 1, in .pdf). Oltre alle già citate autorizzazioni verso il Medio Oriente, vanno segnalate quelle verso l’Asia (416,2 milioni pari all’8,5% del totale) tra cui emergono quelle verso l’India (242,8 milioni di euro) per l’acquisto da Fincantieri di una nave logistica classe “Etna”; l’America Centro-meridionale (100,3 milioni di euro pari al 2%) e l’Africa centro-meridionale (51 milioni di euro in gran parte per commesse dalla Nigeria).

Ma ancor più preoccupante è la sparizione dal Rapporto per il secondo anno consecutivo della Tabella delle autorizzazioni rilasciate alle banche per le operazioni d’appoggio all’esportazione di armamenti: dal Rapporto si apprende solo l’ammontare complessivo (4 miliardi di euro di cui circa 3,7 miliardi per operazioni di esportazione definitiva) ma – nonostante le proteste delle associazioninessuna menzione delle banche a cui sono stati autorizzate tali operazioni. La Tabella delle operazioni bancarie dovrebbe essere riportata dalla più ampia Relazione al Parlamento, ma non ci sono segnali che il Ministero guidato da Tremonti intenda ripristinare il dettagliato elenco delle singole autorizzazioni rilasciate alle banche (cioè l’elenco di “Riepilogo in dettaglio suddiviso per Istituti di Credito”) che dall’entrata in carica del Governo Berlusconi è stato “sostituto” con altri elenchi (per Aziende, per Paesi destinatari, per numero MAE) sottraendo alla società civile e alle campagne la possibilità di controllo sulle singole operazioni effettuate dalle banche.

Resta infine tutto da vedere come il Governo intenderà muoversi per quanto riguarda il cosiddetto “riordino” della normativa nazionale relativa al controllo dell’esportazione di armamenti e cioè della Legge 185/90. Il Rapporto della Presidenza del Consiglio afferma che il “processo di integrazione europeo nel campo della difesa e la progressiva razionalizzazione e ristrutturazione dell’industria europea” avrebbe portato ad un “radicale cambiamento” dello scenario tanto che “il quadro normativo italiano è risultato sempre più inadeguato” (pg. 23). Proprio per questo – e per recepire nella legislazione nazionale le recenti Direttive e Posizioni Comuni europee – la Presidenza del Consiglio intende “operare per la finalizzazione del processo di revisione della normativa nazionale” (pg. 34), cioè ad “un intervento correttivo di tutta la normativa in vigore” (pg. 24).

Sarà da vedere, soprattutto, se e in che modo saranno coinvolte in questo processo le associazioni della società civile che – va ricordato – fin dagli anni Ottanta sono state promotrici di una legislazione rigorosa e trasparente sull’esportazione di armamenti (la Legge 185/90) che è stata alla base del Codice di Condotta dell’Unione Europea. Il Rapporto riafferma la volontà di “continuare il dialogo con i rappresentanti delle Organizzazioni Non Governative” (pg. 36).

Le associazioni della Rete Italiana Disarmo hanno ripetutamente richiesto negli anni scorsi di essere informate con puntualità e precisione su tutta l’ampia materia non solo del controllo delle esportazioni di armamenti, ma anche sulle annunciate modifiche alla legislazione vigente. Ed intendono formalizzare questa richiesta alla Presidenza del Consiglio la quale già dallo scorso anno ha costituito presso l’Ufficio del Consigliere Militare (PCM/UCPMA) un apposito “Gruppo di lavoro” tra i cui compiti figura appunto quello di verificare “l’opportuna strada perseguibile per un intervento correttivo di tutta la normativa in vigore” (pg. 24). Una strada che, visto i casi giudiziari che stanno tuttora coinvolgendo le aziende militari britanniche, non può permettersi di abbassare il livello di controlli, di trasparenza pubblica e di informazione istituzionale soprattutto per quanto riguarda il settore bancario.

Giorgio Beretta

Italia: 15 miliardi di euro per nuovi aerei F35

 Martina Lacerenza dettaglia bene diverse omissioni da questa triste vicenda nel luglio 2010 il La Cronaca Vera

Mercoledì 14 Luglio 2010 11:32
Nel momento di profonda difficoltà economica che sta attraversando il nostro Paese, ci sembra doveroso dare spazio a una notizia che non ha avuto molta risonanza mediatica e di cui, infatti, la maggioranza degli italiani non è a conoscenza. L’8 aprile 2009 le Commissioni Difesa di Camera e Senato hanno entrambe approvato un progetto chiamato Jsf, cioè Joint Strike Fighter: un programma di riarmo internazionale lanciato dagli Stati Uniti e a cui hanno già aderito diversi Paesi, tra cui l’Italia. Il Governo italiano nel 2009 ha infatti approvato l’acquisto di 131 nuovi caccia bombardieri americani, chiamati F35, per un costo totale di quasi 15 miliardi di euro.
In sede di votazione non si è registrato alcun voto contrario, solo il Pd si è astenuto. Tuttavia la prima intesa per il progetto fu firmata al Pentagono nel 1998 con il governo D’Alema, la seconda nel 2002 con Berlusconi, la terza nel 2007 con Prodi e l’ultima, appunto, nel 2009, di nuovo con il Governo Berlusconi. Come ripetiamo la notizia non è circolata molto nel Paese, sebbene l’acquisto dei suddetti aerei verrà effettuato con i soldi dei cittadini italiani. 
La base di assemblaggio dei 131 caccia bombardieri sarà in provincia di Novara, presso la base militare di Cameri, in uno stabilimento apposito che entrerà in funzione nel 2012. I primi aerei saranno pronti invece nel 2013: ogni F35 vale 91 milioni di euro.
Proprio a Novara si è costituito nel 2007 un coordinamento stabile, chiamato “Coordinamento contro gli F35”, cioè un insieme di gruppi, associazioni e organizzazioni anti militariste che si sono unite con lo scopo di opporsi alla costruzione e all’assemblaggio dei 131 caccia bombardieri e che cercano di portare all’attenzione di tutti questa situazione, sensibilizzando l’opinione pubblica. Abbiamo intervistato Oreste Strano, il responsabile di “Coordinamento contro gli F35”. 
Come giudica la notevole cifra economica spesa dal Governo italiano per l’acquisto di questi 131 caccia bombardieri in un periodo così difficile, dal punto di vista economico, per l’intero Paese?
“Innanzitutto voglio specificare che l’Italia non ha un progetto solo di acquisto, ma anche di fabbricazione di questi caccia bombardieri. L’Italia ha già investito nel progetto 1028 milioni di dollari. Nella spesa complessiva, tra l’acquisto dei 131 caccia e l’assemblaggio degli altri che saranno venduti in altri Paesi, si tratta di un investimento totale di 16 miliardi di dollari, cioè quasi 15 miliardi di euro. La giudico come una grande contraddizione”.
I soldi spesi per finanziare questo progetto militare, infatti, provengono dalle tasche degli italiani: ma dove vanno a finire? Chi è davvero che ci guadagna?
“All’interno della base aerea di Cameri deve essere costruito un capannone che si chiamerà FACO e destinato all’assemblaggio dei vari pezzi di aereo. Questi verranno costruiti in diverse ditte della Finmeccanica, Holding italiana nei settori dell’aeronautica, dell’elicotteristica, dello spazio e della difesa, sparse su tutto il territorio nazionale. Ci sono cioè una serie di fabbriche, legate alla Finmeccanica e dislocate in varie città italiane, da cui arriveranno i vari pezzi degli aerei che saranno poi assemblati a Cameri. Alla ditta Maltauro di Vicenza, invece, hanno dato l’appalto per iniziare a costruire questo capannone: un appalto da 250 milioni di euro per costruire un capannone in un’area demaniale. Praticamente è tutto nelle mani di ditte private ed è davvero una cosa anomala considerando che i soldi ce li mettono gli italiani. Anche per questo riteniamo che la notizia debba circolare nel Paese”.
Voi riuscite, come organizzazione che si oppone a questo progetto, a dialogare con i politici? Ad avere un confronto per esprimere le vostre perplessità?
“No, i politici sono tutti trasversalmente d’accordo. Adesso alcuni di loro cominciano a criticare l’eccesso delle spese militari che effettua il nostro Paese. In ogni caso il progetto è stato approvato, che è quello che conta”.
Il progetto, tra l’altro, è stato approvato l’8 aprile 2009, cioè due giorni dopo il terremoto che ha distrutto l’Abruzzo. Proprio vari politici dissero che per la ricostruzione sarebbero stati necessari circa 13 miliardi di euro, la stessa cifra che è stata spesa per l’acquisto dei caccia bombardieri. L’Aquila però è ancora in ginocchio…
“Noi infatti stiamo raccogliendo delle firme, anche tramite il sito della nostra associazione, nof35, affinché questi soldi siano destinati alla ricostruzione dell’Abruzzo, per il quale hanno detto che mancano i fondi: i fondi, se vogliono, ci sono eccome”

 Quell’ aereo europeo sconfitto da La Russa 29 ottobre 2010 —   pagina 36   sezione: COMMENTI, La Repubblica

RECENTEMENTE il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha affermato che, per risparmiare in questo periodo di crisi, il governo non intenderebbe acquistare l’ ultima serie dell’ aereo europeo (Eurofighter), omettendo però di dire che ha invece l’ intenzione di acquistare l’ inutile bombardiere americano Jsf. Ma l’ aereo europeo (consorzio tra Italia, Germania, Inghilterra e Spagna) dà lavoro a circa 100.000 persone in Europa e circa 25.000 solo nel nostro paese, mentre il bombardiere americano, se tutto andrà bene, ne occuperà in Italia al massimo una decima parte. Il governo che a parole dice di essere europeista, di tutelare il lavoro in Italia e di favorire i risparmi, ma poi nei fatti agisce nel modo contrario.
Insomma che si vuole fare?

Lo stesso Beretta, già nell’aprile 2008 pubblicava su http://www.unimondo.org/content/view/full/43892 :

 Italia: nuovo record dell’export di armi, Pakistan primo cliente

Nuovo record per le esportazione di armamenti italiani che nel 2007 sfiorano i 2,4 miliardi di euro con un incremento del 9,4% rispetto al 2006 grazie soprattutto ad un’autorizzazione per missili contraerei (di tipo Spada-Aspide prodotti dalla MBDA una controllata di Finmeccanica) verso il Pakistan: il regime di Islamabad con 471,6 milioni di euro si attesta come il primo acquirente di armi “made in Italy”. Sono i primi dati del Rapporto annuale reso noto oggi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che sono stati presentati dall’Ufficio del Consigliere Militare ad una delegazione della Rete Disarmo.

“Se è positivo che il Governo abbia mantenuto l’impegno annunciato lo scorso anno aprendo un confronto con le associazioni come le nostre attente al controllo del commercio di armamenti, il trend di crescita dell’export è invece alquanto preoccupante” – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo. Un trend che vede tra l’altro nel 2007 la ripresa di autorizzazioni verso Paesi non appartenenti alla Nato e all’Unione Europea che, con oltre 1,1 miliardi di euro, raggiungono il 46,5% di tutte le esportazione di armi italiane. Si conferma cosi quanto le analisi di Rete Disarmo evidenziano da tempo: nonostante una legge considerata “restrittiva” come la 185, dalla sua entrata in vigore nel 1990 ad oggi più del 40% di armi italiane è stata diretta a nazioni che non appartengono alle principali alleanze economiche e militari del nostro Paese.

Nel 2007, tra i maggiori acquirenti di armi italiane figurano infatti oltre al già citato Pakistan (471,6 milioni di euro di autorizzazioni), la Turchia (174,6 milioni di euro), la Malaysia (119,3 milioni) e l’Iraq (84 milioni di euro). Proprio il Pakistan e la Turchia sono stati oggetto nei mesi scorsi dell’attenzione di due specifici comunicati di Rete Disarmo che, in considerazione delle tensioni interne e delle politiche militari dei due paesi, aveva esplicitamente chiesto al Governo italiano una sospensione delle esportazioni di armi italiane. Tra le nazioni Nato/Ue che commissionano armi italiane vanno ricordate invece la Finlandia (250,9 milioni di euro), Regno Unito (141,8 milioni), Stati Uniti (137,7 milioni), Austria (119,7 milioni) e Spagna (118,8 milioni).

Oltre alle autorizzazioni crescono anche le consegne definitive di armamenti che, come riporta l’Agenzia delle Dogane, superano gli 1,23 miliardi di euro a fronte dei 970 milioni del 2006. Forte incremento anche dei “Programmi intergovernativi” che – per l’arrivo a regime di diversi programmi, sfiorano nel 2007 i 1,85 miliardi di euro. “E’ particolarmente urgente che il Governo italiano integri una seria politica di tutela dei diritti umani con le autorizzazioni alle esportazioni di tutti i sistemi di armi in particolare per quanto riguarda l’attuazione della raccomandazione del Comitato Onu sui Diritti dell’Infanzia che richiede di non esportare armi verso Paesi dove sono utilizzati i “bambini soldato” – afferma Daniela Carboni, direttrice dell’Ufficio Campagne e Ricerca di Amnesty International.

Leggera flessione, invece, delle operazioni autorizzate alle banche (vedi tabella in .pdf) che si attestano ad oltre 1,2 miliardi di euro. “Dai primi succinti dati il gruppo Unicredit con oltre 183 milioni di euro di operazioni si profila come la prima banca d’appoggio al commercio di armi del 2007 nonostante la policy di ‘uscita progressiva dal settore’ annunciata fin dal 2001 dal suo Amministratore delegato” – sottolinea Giorgio Beretta della Campagna ‘banche armate’. “Unicredit lo scorso anno ha acquisito Capitalia ma non ha ancora definito una linea di comportamento per quanto riguarda questo tipo di operazioni: c’è da augurarsi che questi nuovi dati non stiano a significare un ripensamento di quanto finora dichiarato da parte di Unicredit che ormai è un gruppo con operatività internazionale” – aggiunge Beretta.

Diminuiscono di oltre un terzo, invece, le operazioni del gruppo IntesaSanPaolo: un primo effetto della nuova policy entrata in vigore solo nel luglio scorso, ma che già sembra presentare risultati positivi, anche se – data la natura delle operazioni – è pensabile che occorrano alcuni anni per non veder più apparire il gruppo nell’elenco del Ministero delle Finanze per operazioni riguardanti i servizi d’appoggio al commercio di armi.

“Preoccupa invece soprattutto la crescita di operazioni di istituti esteri come Deutsche Bank (173,9 milioni di euro), Citybank (84 milioni), ABC International Bank (58 milioni) e BNP Paribas (48,4 milioni) a cui vanno sommati i valori dell’acquisita BNL (63,8 milioni). Se siamo riusciti a portare diverse banche italiane ad esplicitare una policy precisa e il più possibile restrittiva in questa materia, dobbiamo creare la stessa azione di pressione sia in Italia sia negli altri paesi europei per quanto riguarda le banche estere” – conclude Beretta.

I dati del Rapporto della Presidenza del Consiglio sull’export 2007 di armi saranno oggetto di ulteriori approfondimenti sul sito di Unimondo e verranno commentati domani, sabato 29 marzo, al Convegno promosso a Roma da Rete Disarmo e Campagna ‘banche armate’ sul tema “Oltre l’insicurezza delle armi: politica, istituzioni, società civile a confronto“. [GB]

e prima ancora, nel 2007 http://www.unimondo.org/content/view/full/30639 pubblicava:

Italia: record ventennale dell’export di armi, affari da 2,1 miliardi

Export italiano di armi dal 1988 al 2006 in valori correnti (Elaborazione: Unimondo)

E’ la cifra record dell’ultimo ventennio*: una manna per l’industria armiera nazionale trainata da Finmeccanica e non pochi grattacapi per il Governo Prodi che nel suo programma si era impegnato ad un controllo più stringente sull’esportazione di armi. Superano infatti i 2,1 miliardi di euro le autorizzazioni all’esportazioni di armamenti nel 2006 con un’impennata del 61% rispetto all’anno precedente. E sfiorano il miliardo di euro anche le consegne (970,4 milioni) effettuate sempre nel 2006.

Ma brindano anche le banche che, sempre nel 2006, si sono viste autorizzate operazioni di incassi relativi al solo export di armi per quasi 1,5 miliardi di euro – altra cifra record dell’ultimo ventennio – con relativi “compensi di intermediazione” per oltre 32,6 milioni di euro. E il gruppo San Paolo IMI – nonostante la dichiarata policy restrittiva – per il secondo anno consecutivo si attesta a “reginetta” delle “banche armate”. Sono i primi dati della “Relazione 2007 sull’export di armi” resa nota ieri dalla Presidenza del Consiglio che in un primo tempo aveva reso noto solo un Rapporto.

Non tranquillizzano nemmeno i destinatari delle esportazioni: al primo posto, dopo anni di stasi, ritornano infatti gli Stati Uniti che oltre alla flotta di elicotteri presidenziali dell’Agusta (c’è in corso un’inchiesta negli Usa nei confronti dell’ex deputato repubblicano Curt Weldon, il principale sponsor politico dell’operazione) acquistano dall’Italia “bombe, siluri, razzi, missili ed accessori”, “navi da guerra”, “esplosivi militari”, fino ad “armi automatiche” di tutti i calibri per un totale di oltre 349,6 milioni di euro.

Seguiti a ruota un Paese che nei rapporti di Human Right Watch si distingue per “vessazioni nei confronti delle organizzazioni per la tutela dei diritti umani”: gli Emirati Arabi Uniti ai quali il Governo ha autorizzato la vendita di “bombe, siluri, razzi, missili ed accessori” oltre che di “navi da guerra”, “apparecchiature per la direzione del tiro”, “armi e sistemi d’arma e munizioni” e “aeromobili” per oltre 338,2 milioni di euro.

Potrebbe forse rasserenare il fatto che la destinazione principale delle autorizzazioni rilasciate riguardano i Paesi dell’Ue e della Nato che insieme ricoprono il 63,7%, ma le esportazioni effettuate (consegne) per l’area extra Ue-Nato salgono ad oltre il 44,2% e più del 20,2% dei sistemi d’arma finisce in una delle zone più calde del pianeta, il Medio Oriente e l’Africa settentrionale al quale sono destinate armi per un valore complessivo di 442,8 milioni di euro.

Per non parlare della Nigeria che riceve armi per 74,4 milioni di euro o del microscopico Oman che si vede autorizzate importazioni di armi dall’Italia per oltre 78,6 milioni di euro. “Forte rallentamento” – dice il Rapporto – della domanda dai Paesi Asiatici (Estremo Oriente), che però ricevono consegne ingenti: l’India per 66,3 milioni di euro, la Malesia 51,4 milioni, il Pakistan 39,7 milioni, Singapore 29,1 milioni di euro. Insomma ce n’è per tutti anche per Perù (26,8 milioni), Venezuela (16,1 milioni) e Libia (14,9 milioni).

E le banche? San Paolo-Imi si conferma per il secondo anno consecutivo la “reginetta” delle “banche armate” tanto che nell’ultimo anno quasi triplica il volume d’affari nel settore passando dai 164 milioni del 2005 agli oltre 446 milioni di euro del 2006. Nonostante la policy della banca vieterebbe l’appoggio a transazioni verso Paesi extra Ue-Nato, l’istituto di credito torinese convoglia a sé quasi il 30% (29,9%) di tutte le operazioni di incassi e pagamenti relative all’export di armi.

Segue BNP-Paribas che con 290,5 milioni di euro è la prima banca estera operante in Italia attiva nel settore. Segue Unicredit, che dopo aver dichiarato nel 2001 di voler cessare questo tipo di operazioni da due anni ricompare con quote rilevanti nella lista (86,7 milioni di euro nel 2006). E poi la BNL (Banca nazionale del lavoro) che addirittura accresce del 33% il proprio volume d’affari rispetto al 2006 portandolo ad oltre 80,3 milioni di euro. In diminuzione le operazioni della Deutsche Bank (78,3 milioni di euro), mentre ritorna alla grande una vecchia conoscenza delle “banche armate”: il Banco di Brescia che riceve incassi per oltre 70 milioni di euro. In crescita anche Commerz Bank (74,3 milioni di euro) che va acquistando quote sempre più rilevanti in questo settore.

La Banca popolare italiana passa da 14 a 60 milioni e guida il gruppo di tutte le banche al di sotto dei 60 milioni di euro. Preoccupante, in questa fascia, la ripresa delle operazioni di Banca Intesa che con i 163mila euro del 2005 sembrava onorare la policy di “non partecipazione” al settore: nel 2006 realizza invece incassi per 46 milioni e l’Istituto capitanato da Bazoli dovrà ora affrontare la sfida della fusione con SanPaolo-Imi, prima “banca armata” d’Italia.

Da segnalare anche la presenza di Banca popolare di Milano (17 milioni di euro -50% dallo scorso anno), al centro di una grossa discussione insieme a Banca Etica di cui è socia fondatrice e per la quale opera anche all’interno di Etica Sgr e della gestione fondi.

Infine, una nota lieta, forse l’unica del Rapporto 2006: la drastica discesa da 133 a 36 milioni di euro delle autorizzazioni riferite a Banca di Roma: un segno – vogliamo augurarcelo- che la partecipazione ai convegni organizzati dalla Campagna ‘banche armate’ ha un effetto positivo sui vertici delle banche.

Giorgio Beretta
(Unimondo – Campagna di pressione alle “banche armate”)

*Nota:
La Tabella “M” del Volume I (Rapporto della Presidenza del Consiglio) riportava nella sua versione iniziale un grafico delle “Autorizzazioni all’esportazione definitiva” nel quale i valori degli anni 1997-2000 erano stati calcolati “deflazionandoli” più volte col risultato di rendere il grafico sempre più sbagliato. Da quel grafico appariva che le autorizzazioni definitive rilasciate dal Governo nel 2006 erano dello stesso ordine di grandezza del 1999: niente di più errato sia considerando i valori correnti che i valori aggiornati all’indice Istat (c.e.) che il grafico avrebbe inteso riportare. Abbiamo ritenuto pertanto utile segnalare al Ministero l’errore (e il grafico della Tabella M ora è stato corretto) e fornire fin da subito ai nostri lettori il grafico esatto coi valori correnti (non deflazionati) tutti riportati in euro comprensivi delle autorizzazioni rilasciate dal Ministero della Difesa oltre che dal Ministero degli Esteri che, insieme, offrono il quadro globale delle autorizzazioni rilasciate nei diversi anni.

Le due tabelle del Ministero (quella errata e quella corretta su nostra segnalazione) sono scaricabili a questo link

Altri articoli di approfondimento sul sito: http://www.banchearmate.it/