DILEMMI E COMPROMESSI, il mio Paese ad un bivio

8 AGOSTO 2013

Viviamo continui déjà vu in rapida, rapidissima, concentratissima successione, direi e facciamo zapping perché è impossibile dribblare: possiamo solo chiudere gli occhi e tapparci le orecchie aspettando il gran colpo finale. L’inconcludenza, l’insignificanza politica di questi mesi (di questi anni) si fa memory foam di pratiche distruttive che vediamo moltiplicarsi come cellule tumorali in mitosi incontrollata, mentre il nostro paese ne assume la forma. A volte leggiamo frasi che sintetizzano abilmente le nostre intuizioni, altre rare volte, pagine che danno loro trama e storia, con straordinaria puntualità:

 Da Liberazione.it

POLITICA – 08/08/2013

L’anomalia Napolitano

Ridurre l’anomalia italiana al caso Berlusconi e – peggio ancora – illudersi di superarla monitorando le reazioni dei berlusconiani e andare avanti con questo governo significa votare al suicidio la nostra democrazia. Comunque vada, il modo in cui esce di scena un uomo che, piaccia o meno, s’intesta un’età della storia d’Italia, proietterà sul futuro le ombre di un passato con cui fare i conti. Inutile ingannare se stessi, la tempesta non ha precedenti. Si naviga a vista, l’ago della bussola è impazzito e se le stelle segnano la rotta si sa:

non c’è mare che non abbia tragedie da raccontare e gli astri che guidarono Colombo oltre l’Oceano mare, fino alle sue Indie americane altre volte avevano spinto al naufragio esperti nocchieri. Questo è in fondo la storia: maestra senza allievi, Cassandra di verità negate, che trovano conferma postuma nel disastro invano previsto e mai evitato.

Ora tutto pare chiaro e persino facile: c’è una sentenza e si applichi, ipso facto decada il condannato e le Istituzioni facciano quadrato. Basterà solo questo a difendere la legalità repubblicana? Se un conformismo più dannoso della mancanza di rispetto non fosse la foglia di fico di Istituzioni sempre meno credibili, qualcuno troverebbe l’animo di riconoscerlo: la sacrosanta condanna di Berlusconi giunge quando l’uomo incarna una crisi che ormai lo trascende. Paradossalmente egli non ha tutti i torti a sentirsi tradito e in questo suo indecente «diritto» di recriminare si cela forse l’origine vera dell’ultima e più pericolosa anomalia italiana. Un’anomalia che stavolta riguarda direttamente il capo dello Stato. Tre anni fa, in occasione del decennale della morte di Craxi, condannato in ultima istanza come il leader delle destre, Napolitano gli rese omaggio e scrisse alla moglie parole che oggi pesano come macigni: «Cara Signora, ricorre domani il decimo anniversario della morte di Bettino Craxi, e io desidero innanzitutto esprimere a lei, ai suoi figli, ai suoi famigliari, la mia vicinanza personale in un momento che è per voi di particolare tristezza, nel ricordo di vicende conclusesi tragicamente». Non si può tacerlo, perché ha legami diretti con quanto accade e ha fatto molto male alla salute della repubblica.

Allora come oggi, il Parlamento era figlio di una legge decisamente incostituzionale, ma Napolitano si mostrava inconsapevole della gravità della situazione. Mentre manipoli di «nominati» di ogni parte politica bivaccavano nell’aula grigia e sorda di mussoliniana memoria, egli non trovava di meglio che ricordare il pregiudicato Craxi e il suo personale rapporto «franco e leale, nel dissenso e nel consenso» col quello che giungeva a definire «protagonista del confronto nella sinistra italiana ed europea». Per il Capo dello Stato, l’uomo che aveva chiuso nella vergogna i cento, nobili anni di storia del partito di Turati, Nenni e Pertini, aveva dato un «apporto incontestabile ai fini di una visione e di un’azione che possano risultare largamente condivise nel Parlamento e nel paese proiettandosi nel mondo d’oggi, pur tanto mutato rispetto a quello di alcuni decenni fa». E’ a questi precedenti, che fanno appello gli eversori quando perorano la causa del loro pregiudicato.

Salvandolo dall’estrema ingiuria, la morte impedì a Gaetano Arfè, grande storico del socialismo, politico tra i più intellettualmente onesti dell’Italia del Novecento e irriducibile nemico di Craxi, di replicare a Napolitano. Oggi, tuttavia – ecco Cassandra e la storia maestra senza allievi – quando il disastro è compiuto, oggi il suo giudizio, espresso nel fuoco di mille battaglie, si proietta fatalmente sul caso

Berlusconi e si fa per Napolitano un dito puntato che non si può piegare ricorrendo alla Corte Costituzionale. Dove il Capo dello Stato vedeva il lavoro di uno statista, Arfè coglieva la rozza sostituzione degli ideali dell’antifascismo con una sorta di strumentale «sovraideologia, brandita e utilizzata come strumento di costruzione di un nuovo potere». A Bettino Craxi anche Arfè attribuiva un progetto; si trattava però di «un disegno venato di paranoia, […] perseguito con magistrale destrezza tattica, ma con altrettanto grande miseria morale». Per questo era «affondato nel fango». Perché lo meritava. Se Napolitano indugiava su un dato marginale – «il peso della responsabilità caduto con durezza senza eguali sulla persona di Craxi» – e si spingeva fino a ricordare che per una delle sentenze subite da Craxi «la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo […] ritenne […] violato il diritto ad un processo equo». Arfè guardava lontano e, senza tirare in ballo Strasburgo e l’equità dei processo, coglieva il nodo irrisolto della vicenda: il nesso di continuità tra craxismo e berlusconismo. Per Arfè il craxismo pervadeva ormai l’intero mondo politico, offriva modelli di comportamenti ai gruppi dirigenti, pericolosi strumenti di lotta politica e nuove tecniche di propaganda e manipolazione del consenso. «Sotto questo aspetto – egli denunciò lucidamente – il craxismo è sopravvissuto a Craxi».

Questo rinnovarsi della «sovraideologia» craxiana nell’esperienza berlusconiana e il suo perncioso radicarsi nei gangli della vita pubblica italiana, Napolitano l’ha colpevolmente ignorato fino alla sua discutibile rielezione, avvenuta anche grazie al consenso di Silvio Berlusconi; è stato Napolitano a volere le «larghe intese» con Berlusconi e con i berlusconiani e sempre lui, Napolitano, ha invitato un nuovo Parlamento di nominati a metter mano alla Costituzione.

Si può gridare allo scandalo per le posizioni eversive assunte dal partito di Berlusconi e stupirsi per il caso «anomalo» del leader condannato, sta di fatto, però, che è difficile negare a Berlusconi ciò che Napolitano ha ritenuto si dovesse a Craxi: pregiudicato, sì, ma degno di essere lodato. In questo senso, i fatti e la loro estrema crudezza parlano chiaro: l’anomalia italiana non si identifica solo con Berlusconi e meglio sarebbe per tutti se, risolta la pratica dell’arresto e messo il condannato fuori dal Senato, il suo sponsor, ottenuta una legge elettorale, lasciasse quel Quirinale mai occupato due volte dalla stessa persona.

Giuseppe Aragno

29 APRILE 2013

Si affastellano le ipotesi sul “folle gesto” che ha portato un uomo a ferire due carabinieri di fronte ai palazzi del potere, mentre prestavano giuramento i ministri del Governo Letta/Alfano: è forse sufficente questo post essenziale per comprendere gli “stigma” dell’informazione, in cui Angela Mauro definisce “grillino” il carabiniere che in lacrime, ipotizza il movente di questa violenza. Insomma, dalla piazza che fa paura e cui bisogna dare un nome, “grillino” diviene ora sinonimo di buon senso?

Io credo che non occorra sapere altro.

Davanti Palazzo Chigi lo sfogo di due carabinieri:
è il gesto di un disperato, ma la gente non ne può più e se la prende con noi

L’Huffington Post | di Angela Mauro;  Pubblicato: 28/04/2013 13:02 CEST  |  Aggiornato: 28/04/2013 16:39 CEST

Sparatoria

Uno dci carabinieri feriti 

“E’ il gesto di un disperato. I politici non lo sanno che vuol dire prendere 800 euro al mese, entrare in un negozio e non poter comprare nulla a tuo figlio… Ecco cosa succede se non lo sanno”. Parola di carabiniere. Accento napoletano, occhi quasi in lacrime, è in servizio con la pattuglia intorno ai Palazzi del potere, dove poco prima due suoi colleghi sono stati feriti a colpi di pistola. Si sfoga davanti ai giornalisti appena arrivati qui dal Quirinale, dove il governo Letta ha appena giurato. Si sfoga, di fianco un suo collega annuisce: “E’ una guerra tra poveri…”. Lo sguardo dei cronisti si fa sempre più incredulo. Il ricordo va a Genova 2001, altra storia, altra epoca. Lì la piazza era nemica, qui la piazza non c’è, c’è il gesto folle di un singolo (a quanto se ne sa), ma il carabiniere non impreca contro di lui, anche se di lui non sa nulla. “Era ferito sull’asfalto e urlava…”, continua il gendarme. “Si capiva che era un gesto di rabbia, ma loro – e indica il Palazzo, Camera e Palazzo Chigi – non lo sanno, vivono in un mondo loro, non capiscono che poi la gente se la prende con noi che facciamo servizio in strada…”. E prosegue il racconto: sembra un grillino ma, di fronte alle sue parole, una considerazione del genere si sgonfia come semplice sintesi giornalistica, quale è. Evidentemente è una persona vera che parla prendendosi il diritto a parlare, pur con la divisa addosso. “Li vedo quando prestiamo servizio davanti al ministero… Escono i sindacalisti a braccetto e dicono: ‘L’accordo non si è fatto’. Per loro non cambia niente, per tante famiglie cambia molto…”. E ora succede questo: uno spara contro i carabinieri e il carabiniere lo comprende. Se potesse scegliere non in base allo stipendio, chissà.

DILEMMI E COMPROMESSI, il mio Paese ad un bivio
28 Aprile 2013

La recente storia ci dice una volta di più di non fidarci mai e di nessuno. Ci dice che in questo Paese niente può cambiare. Niente deve cambiare. E come pure quello stigma letterario d’una politica italica in cui tutto cambia perché nulla cambi, sia ormai fuori moda. Ci dice che il libero arbitrio va esercitato in modo diretto perché raramente la rappresentanza politica s’è messa al servizio del bene collettivo. Essere di sinistra ha perso ogni significato da che chi sale al potere, grazie ad una procedura di voto dallo stigma suino, con la favoletta della rappresentatività sfila con improntitudine davanti ai nostri occhi, dopo aver applaudito una linea di partito per poi votare in massa contro quella linea. Marini PdR era insostenibile –  potreste convenire con me –  ma, conoscendo il mio popolo, sentenzio che una percezione egemonica del potere ha impedito quella rappresentanza senza senno collettivo, di esprimersi liberamente al momento dell’applauso. Continua a leggere

Brevissima storia della mia petizione alla cittadinanza

Berlusconi non può presiedere alcuna Convenzione per le riforme del Paese

Alla fine ne ho scritta una io, il 4 maggio: una petizione per superare il blocco fazioso in cui è intrappolato il Paese e togliere ogni potere di ricatto a Berlusconi. Impedendo – al possibile, con ampio supporto (che, ne ero convinta, avrebbe tolto d’imbarazzo molti sostenitori della sua fazione) – che questi presieda Convenzioni per le riforme costituzionali e della giustizia, oltre che, naturalmente, della comunicazione in cui intende imporsi: forse, i membri del suo partito, quale che sia il vincolo che li lega a costui, troveranno nella pressione popolare il coraggio di ostacolarlo nel deliberato intento di distruggere completamente le già precarie istituzioni che possediamo. La cultura del malaffare – di cui non ha certo Berlusconi il monopolio – in seguito ad una sistematica violazione dei sistemi d’appalto, avallata nei diversi organismi di Governo e controllo (dalle forniture logistiche alla PA alla realizzazione di opere di utilità nazionale, con la scusa dell’emergenza), è ora data per scontata nelle istituzioni. Bisogna scardinare un sistema.

Non è una questione di appartenenza politica: è questione di interesse trasversale, legato al buon senso e che si richiama a temi che ancora debbono essere circoscritti dalle nostre Commissioni Parlamentari quali: il conflitto di interessi e i criteri di deontologia politica, che sono stati traditi uno ad uno nell’immaginario collettivo e, nondimeno, resistono in una percezione che li vede essenziali per un vero rinnovamento della politica italiana, così come richiesto dalla Cittadinanza. Anche l’assenteismo nell’esercizio del diritto di voto è una manifestazione di tale richiesta. Il passato istituzionale di Silvio Berlusconi ha contribuito ampiamente alla richiesta di tale profonda trasformazione e lo rende inadatto a ricoprire qualsiasi ruolo in convenzioni di riforma istituzionale di sorta, men che meno costituzionale o relative al comparto della giustizia.

FIRMATE E DIFFONDETE!

Il 6, poi, ho scritto ai 158 firmatari:

Carissimi firmatari della mia campagna su change.org per impedire a Berlusconi di presiedere Convenzioni per riforme di Costituzione, comunicazione e giustizia, Berlusconi “aveva scherzato”: ancora una volta ha ammesso di interagire con noi per “battute”. Purtroppo quest’ennesima offesa non lo cancellerà dalla nostra vita politica. Molti dei suoi sostenitori lo guarderanno ancora simpaticamente e …la coscienza politica italiana continuerà nella sua parabola discendente. Leggete quanto segue, raccolto e pubblicato dalla “sua” mediaset. http://www.tgcom24.mediaset.it/politica/articoli/1094145/berlusconi-convenzione-riforme-tempo-perso.shtml   La petizione è sospesa, tuttavia, vi esorto a non abbassare la guardia   Grazie per il vostro sostegno e per la vostra coscienza civica: deve esserci di conforto

Il “Patto dei violenti: è la Rete 29 Aprile” (il match col giornalista e non solo: 16-22 dicembre)

Il Mattino, il 16 dicembre pubblica, a firma Massimo Martinelli, il seguente articolo – non dissimile da quello pubblicato su il Messaggero (tra pagg.1 e 3) : “Il dossier – Scontri, l’allarme dell’antiterrorismo. Patto dei violenti: è la Rete 29 Aprile”.

Da prima del 14 Dicembre 2010 (giorno dei “fatti” di Roma…) si è scatenata una campagna di demonizzazione del dissenso che, c’era da aspettarselo, è scesa pari pari nei faldoni del Viminale e, al solito, altresì, nelle penne di certi giornalisti, accorsi a nozze. Sappi, o viandante virtuale che incocci in questo mio blog, che hai a che fare con una “terrorista” della Rete 29 Aprile… così hanno fatto sapere a quest’anima bella che “si fa concava” agli ordini degli innescatori del terrore:

Massimo Martinelli Roma, così ha scritto su Il Mattino forse il 16/12/2010.

“Studenti e centri sociali: ecco il patto del terrore”

La purezza dello spontaneismo e della protesta genuina adesso è roba preistorica. Quello che era scritto da mesi nei rapporti riservati del Viminale ha ricevuto un sigillo di autenticità nelle piazze di Roma. E probabilmente era superfluo. Eppure è servito a portare la realtà sotto gli occhi di tutti: gli studenti ”in movimento” non sono più i ragazzi dell’Onda anomala del 2008, romantici e sognatori. Adesso serrano i ranghi con gli attivisti dei centri sociali e con gli eredi dell’anarcosindacalismo. E sembrano essere contro lo Stato. Esiste un rapporto ”riservato” che la descrive bene, questa galassia contestatrice che ha conquistato la scena martedì scorso. Dice senza mezzi termini che queste proteste di studenti e ricercatori contro il ddl Gelmini vedono uniti in un fronte compatto e monolitico le espressioni del mondo della scuola, gli esponenti del sindacalismo di base e dell’antagonismo no global. Un patto che è stato siglato il 29 aprile scorso a Milano, durante una riunione a cui hanno partecipato oltre trecento tra ricercatori e studenti provenienti da 35 atenei. Un’intesa che è stata appunto ribattezzata «Rete del 29 aprile». La conferma, per gli uomini dell’antiterrorismo, era arrivata quindici giorni fa, in occasione delle manifestazioni degli studenti del 30 novembre scorso. A Torino, Milano, Padova, Bologna, Genova, Firenze, Roma e Napoli c’erano studenti e ricercatori ma anche attivisti dei centri sociali, identificati dall’occhio attento delle Digos cittadine. E con loro, anche i duri del sindacalismo di base, convinti che le azioni di massa, come le manifestazioni o gli scioperi generali, servano soprattutto ad attirare sulle barricate le categorie dei lavoratori scontenti. Che una volta erano gli operai sfruttati del dopoguerra e oggi sono i giovani padri di famiglia umiliati dai tagli imposti dalla crisi economica. Dietro a loro ci vanno i ragazzi delle università, incoscienti e idealisti. Incapaci di capire che incendiare una camionetta della Celere è un po’ come buttare un fiammifero acceso addosso al benzinaio che ti sta facendo il pieno: rischi solo di ammazzare un poveraccio che per mille euro al mese fa un lavoro ingrato e onesto. Con qualche rischio di sopravvalutarla, questa gente, gli analisti vedono una ”cabina di regia” dietro la pianificazione di scontri e devastazioni. I centri sociali e le organizzazioni studentesche che fornirebbero le teste pensanti al vertice del Movimento sono nel rapporto dell’antiterrorismo. C’è il Pedro di Padova; il Crash, il Teatro polivalente occupato, il Collettivo autonomo studentesco, il Collettivo Universitario autonomo e Aula C di Bologna; il Forte Prenestino e Acrobax di Roma, il Collettivo Autorganizzato Universitario e il Laboratorio Insurgencia di Napoli: di qui proviene Fabio Federico, il 19enne arrestato. E ancora, ecco lo Spazio Liberato 400 colpi e il Collettivo di Scienze Politiche di Firenze; il collettivo Aut Aut, il Csoa Buridda e Zapata, il Terra di Nessuno e il Collettivo studenti medi Caos di Genova e infine, a Milano, la Bottiglieria occupata, la Rete degli studenti e l’Assemblea metropolitana permanente. Qualche ottimista immagina che vogliano emulare i no global europei, come gli studenti londinesi che hanno violato la sacralità della limousine della Regina, o i greci che si sono fatti sparare addosso dalla polizia; in realtà, più semplicemente, secondo gli investigatori dell’Ucigos sono lucidi manipolatori di persone. Che martedì scorso hanno saputo coinvolgere centinaia di giovani e meno giovani che non avevano mai tirato un sasso neanche a un cane. Basta leggere il bollettino in mano al procuratore aggiunto di Roma Pietro Saviotti: tutti incensurati, nemmeno uno con precedenti per manifestazioni di piazza; nessuno che sapesse accendere una molotov, visto che non ne sono volate. Significa che hanno mandato avanti i più ingenui, i dilettanti. Come accadde a Genova, con i capi no global che la sera prima della grande manifestazione tennero allo stadio Tardini una seduta quasi mistica per motivare ragazzini di sedici anni al massimo. Stavolta, però, gli aspiranti burattinai che a Genova non transitarono neanche per la caienna di Bolzaneto, potrebbero finire a piazzale Clodio. Hanno diretto le mandrie a suon di sms, in un quadrilatero di viuzze e antichità servito da una sola cella per la telefonia mobile. E con le tecnologie di oggi, per l’antiterrorismo sarà un gioco da ragazzi avere nelle prossime ore le migliaia di sms sparati via etere dalle undici alle diciotto del 14 dicembre. Poi basterà leggerli, e annotare gli intestatari dei telefonini che indicano dove sfondare, come colpire, cosa incendiare. Ci vorrà del tempo, ma solo pochi giorni.

Ho quindi inviato a Il Mattino e a massimo.martinelli@ilmessaggero.it la seguente risposta con preghiera di stampa…

 

 

 

 

 

 

 

 

Caro Martinelli,

da storica conosco bene gli archivi dei Ministeri degli Interni e l’abilità di certi funzionari nel categorizzare gruppi scesi in piazza ad esprimere legittimo dissenso, quale falange compatta di sovversivi: si spera sempre che certi faldoni restino fonte storica per contrappunto dai quali i Giuseppe Aragno e gli altri valenti storici del presente e del futuro ricostruiscano per noi le vere aspirazioni delle resistenze, anche di quelle cosiddette “minute”, rispetto ad istituzioni indisponibili all’ascolto, quali ahinoi, è evidente, continuiamo ad annoverare.

Voglio raccontarLe di quel che ho visto io a Milano, il 25 novembre scorso: ragazzi senza caschi a mani nude assaliti dalle forze di polizia, coi manganelli alti, proiettati dietro le spalle per assestare meglio i colpi sulle teste di quegli studenti, colpendoli dall’alto, mentre scendevano le scale della metropolitana per raggiungere i ricercatori che avevano occupato il tetto della Facoltà di Fisica. Le abbondanti fotografie messe a disposizione dalla RCS lo dimostrano e, qualora non bastassero, io stessa sono disposta a testimoniarlo in qualsiasi tribunale: ma io e Lei sappiamo bene che questo non sarà mai. Quegli episodi e i continui assalti subiti da studenti e artisti del San Carlo a Napoli a partire da quello stesso giorno, sui quali né Lei né nessun altro ha speso un rigo, sono il frutto di una strategia di fomentazione all’escalation della violenza che parte da faldoni del Viminale, a Lei e a me preclusi, o da qualche presenza nei luoghi di comando – come il G8 di Genova ci ha ampiamente insegnato – e non si poteva chiudere che con gli episodi di Roma.    

La mattina del 14 dicembre, mentre raggiungevo i colleghi al Presidio di fronte al Rettorato della Statale, dall’autoradio, una Rete nazionale (103.3 Isoradio) in linea con la Questura di Roma, promanava  appelli da Stato d’Emergenza,: “girate col viso scoperto anche se fa freddo… e sempre con un documento in tasca… tenetevi lontani da capannelli di persone, sono possibili reazioni da parte delle forze dell’ordine laddove vi sia legittimo sospetto, alzate sempre le mani di modo da mostrare che non tenete nulla nascosto” e giù (sempre più giù) discorrendo. La demonizzazione del dissenso in atto, il tenore del suo articolo che rasenta il ridicolo e la presenza di adulti vestiti alla guisa dei giovani in quei ranghi, o di black bloc nelle fotografie di Roma, intorno ai quali misteriosamente si articola il baricentro della violenza, mi richiamano alla mente questa intervista di Andrea Cangini a Cossiga che Le rinfresco, e che risale a giovedì 23 ottobre 2008, INTERVISTA A COSSIGA «Bisogna fermarli, anche il terrorismo partì dagli atenei», ROMA
PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l`uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? «Dipende, se ritiene d`essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico Pci ma l`evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia».
Quali fatti dovrebbero seguire? «Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».
Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…».
Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che…
«Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».
Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».
Presidente, il suo è un paradosso, no? «Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».
E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.
«Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio».
Quale incendio? «Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università.
E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».
E` dunque possibile che la storia si ripeta? «Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».(…)

Martinelli, persino Lei si sarà accorto che la politica, oggi, non ha davvero fantasia, e la contestuale ammissione da parte del questurino alla radio che da 6 mesi a questa parte vi siano state ben 555 manifestazioni pubbliche a Roma, se non ricordo male, dimostra come non solo questo Governo, ma buona parte del Parlamento non dico non rispecchi o non si faccia interprete, ma nemmeno percepisca il dissenso, tutti presi, come sono, dal mero intento di tenersi a galla e come contro di esso si scateni ciecamente l’esecutivo. Al fine di destabilizzare la pubblica opinione, di denigrare la parte che non è stata deliberatamente scelta dal potere quale interlocutore, addirittura viene messo a sua disposizione un fascicolo “riservato” e Lei e molti altri giornalisti conniventi vi prestate a questo gioco, salendo addirittura  sul carro dei violenti che, pistola alla mano, si oppongono ad ogni voce che richiami a responsabilità.

Le nostre sono verità profondamente sane e razionali, che non abbisognano di violenza per conquistare evidenza e il nostro dissenso si è coordinato a partire dal 29 Aprile, all’insegna della ricerca di un confronto aperto e approfondito con le istituzioni e con i politici in grado di recepire le nostre istanze, contro una legge che decreta l’inesorabile declino della pubblica formazione.
Si è costretti a salire sui tetti e ad urlare invocando quella responsabilità perché persone come Lei , potendo farlo, ci negano la parola preferendo imbrattare la carta, rendendo i lettori compartecipi d’una ridicola eccitazione nel farsi megafono di irresponsabili accuse oltre che del suono di quei manganelli impietosi che impattano sulle teste dei nostri studenti.

Cristiana Fiamingo

Ricercatore e Docente
Università Statale di Milano
Orgoglioso membro e coordinatore locale della Rete 29 Aprile

Questa risposta è stata pubblicata anche su http://aperinsubria.blogspot.com/2010/12/attacco-alla-rete-29-aprile.html

 Ora, per questioni di privacy posso solo parafrasare la risposta di questo signore:

From: mm
Sent: Sunday, December 19, 2010 9:06 PM
To: cf
Subject: R: Fw: in risposta a Martinelli, La purezza dello spontaneismo ecc…

Iniziando con “Cara Cristiana”, M. si dice preoccupato che una persona che rischi di finire dietro una cattedra con qualche studente ad ascoltarla non colga la distanza siderale tra la politica della prevenzione di Maroni e quella posta in atto da Cossiga alcuni decenni fa.

D’altro canto si definisce onorato nel caso in cui io continuassi a leggerlo sul giornale.
Mi saluta cordialmente, si segna e appare questa comunicazione “ti ho risposto con il mio BlackBerry Vodafone!”

From: cf
Sent:
Monday, December 20, 2010 12:41 AM
To: mm
Subject: Re: in risposta a Martinelli, La purezza dello spontaneismo ecc…

Signor Martinelli

la pochezza di un giornalista la si misura nell’incapacità di cogliere il momento di tacere e quello di mettersi in ascolto e poi, quantomeno, di fare una piccola indagine prima di sottovalutare in modo offensivo e sciocco i suoi interlocutori. Sono una docente i cui corsi son seguiti da centinaia di Studenti che, a differenza di lei, colgono assai bene quanto sia eticamente riprovevole che un giornalista – la cui missione è quella d’accertare e riprodurre le porzioni di verità che, quantomeno, dovrebbe ingegnarsi d’investigare e comprendere – si faccia compiacente “strumento preventivo” di un potere, ancorché costituito, al quale non dovrebbe essere asservito. Posso solo intuire a quale fine si faccia “cadere in mano” un dossier “riservato” a personaggi disponibili come lei a farsi velina di un ufficio del Ministero degli Interni, in un momento di tensione: quello di moltiplicarla. Lei usa un quotidiano per farsi portavoce di sospetti, minacce e condanne: stigmatizzando pubblicamente vari gruppi, quando – non a caso – quei dossier sono “riservati” anche per dare modo agli inquirenti di fare i dovuti accertamenti e non prendere granchi epocali. Hanno mandato avanti lei. Lei – che consiglia a me di spostare avanti le lancette dell’orologio e poi rispolvera l’UCIGOS, quando quest’ufficio dalla riforma del 1981 è stato trasformato nella Direzione centrale della polizia di prevenzione – lei, dicevo, ritiene di potersi sostituire alla DCPP: ma, prima di eccitarsi (esattamente come quando conduceva le trasmissioni sullo sport estremo, che avrebbe fatto meglio a non abbandonare) calunniando la Rete 29 Aprile, quale fautrice di un patto destabilizzatore che avrebbe aggregato la “galassia contestatrice” (tra l’altro, in absentia delle parti che chiama in causa) avrebbe dovuto quantomeno contattarne i membri e tentare di capire se fosse il caso di sbilanciarsi tanto. Perlomeno questo fa un giornalista, per evitare di cadere nel ridicolo o d’avere qualche noia legale, quando difetta di deontologia professionale.
Lei si preoccupi pure per i miei Studenti, io mi dolgo per i lettori de “Il Mattino”. Per fortuna, le rassegne stampa mi evitano incauti acquisti, ma mi permettono di leggere bene in che mani sia la pubblica opinione, di rattristarmi profondamente per essa e di combattere con tutte le mie forze perché tali metodi approssimativi stiano lontani dalla fucina di pensiero e accuratezza che ho scelto come ambito di lavoro.

 Cristiana Fiamingo

Il 22 Dicembre 2010, mentre mi avviavo al Presidio di Festa del Perdono, ho acquistato Il Mattino e ho trovata pubblicata (un po’ tagliuzzata, in verità, ma me l’aveva preannunciato il c.redattore), la mia lettera.

Quanto alla giornata del 22, la Rete ha issato un paio di striscioni sulla loggia interna di fronte al Rettorato in Festa del Perdono e ha poi seguito il Corteo studentesco, che, dopo una breve assemblea per stabilirne strategie e percorso (un po’ confusa, in verità) nella 211, si è snodato con l’intento di coprire circonvallazione interna ed esterna per raggiungere i “medi” (gli Studenti delle superiori) e gli immigrati a via Padova. Dico confusa, perchè da quel che ho visto ai cortei del 25, del 29 e del 30 Novembre, il coordinamento Digos è ben capace di spezzare cortei o di bloccare in cul-de-sac gruppi di persone, per quanto grandi e, nonostante lo abbia richiesto, nessuno ha ritenuto opportuno pensare a qualche strategia alternativa, tanto più non avendo voluto chiedere un percorso autorizzato. Al solito, si sono alternate scosse di esaltazione collettiva e voci di gran saggezza e coscienza con ampio seguito di applausi, il che fa confidare in quella tendenza all’equilibrio che consente alla sottoscritta – non certo barricadera, per quanto appassionata in ciò in cui crede – di incanalarsi in manifestazioni collettive guidate dagli Studenti.

http://www.youreporter.it/video_Milano_22_dicembre_2010_studenti_contro_la_riforma_1

Blocchi ce n’è stati e i colleghi della Rete dopo un po’ son tornati ai rispettivi Atenei. Eravamo comunque 300… giovani e forti -loro-, ma ci siam fatti incastrare, puntualmente, da subito. Buffo che ad un certo punto ci fossero più poliziotti che studenti e che mentre noi bloccavamo il traffico di una corsia in viale Romagna, affiancandoci, i poliziotti occupassero l’altra: una manifestazione parallela, insomma! Ad ogni tappa delle linee metropolitane e ad ogni passante ferroviario perdevamo qualcuno ed era buffo in via Padova (dove NON c’erano i “medi”) vedere gli immigrati proiettarsi fuori delle finestre a filmarci coi telefonini o a far sporgere i computer portatili da cui si vedevano le loro famiglie webcammate on-line, per permettere anche a loro di godersi lo spettacolo. Fino a che ho potuto seguire il corteo – poco dopo le 15,00, deviando sulla linea gialla, alla stazione metro di Duomo, dove siamo tutti scesi (poiché sapevo che si sarebbero congiunti ai “medi” in FdP, per cui la mia presenza non avrebbe fatto la differenza) non c’è stato nessun incidente. Poca strategia, essendo finiti presto i volantini che i ragazzi distribuivano alla gente, ma allegria comunque, poichè con tegamini, mestoli, lattine, zufoli e fischietti un po’ di buon ritmo si è sentito. Peccato per quel che ho letto (ma voglio sentirlo dalla loro viva voce) di pannelli divelti alla Statale quando vi hanno fatto ritorno.

Devo dire, che molto ho apprezzato questo video che evidenzia una maggiore creatività e chiarezza negli Studenti “medi” (si chiamano loro così) nel coltivare la propria fresca determinazione. http://www.youtube.com/watch?v=U6mb90KPMcU . Sebbene finora sia stata piuttosto fortunata, spero che Studenti così capitino fra le fila dei miei corsi.